Il fotovoltaico galleggiante, una risposta per la domanda di energia in Africa

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Il solare galleggiante potrebbe evitare la costruzione di molte nuove dighe e bacini idroelettrici in Africa, con benefici economici e senza seri impatti ambientali e sociali. Uno studio di tre ingegneri del Politecnico di Milano.

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QualEnergia.it ci aveva visto lungo quando già nel 2010 segnalò per la prima volta l’esistenza della tecnologia del fotovoltaico galleggiante (FVG) (un progetto in Puglia), con l’installazione dei pannelli solari sull’acqua di bacini idrici, invece che su terraferma.

Allora erano appena apparsi i primi impianti sperimentali in varie parti del mondo, Italia compresa, ma erano già chiari i vantaggi di questa soluzione: nessuna occupazione di suolo, impatto paesaggistico ridotto, pannelli meno caldi e quindi miglior rendimento, riduzione dell’evaporazione dell’acqua e, nel caso dell’uso di bacini idroelettrici, impiego delle linee già esistenti e perfetta integrazione con l’idroelettrico a fare da “batteria” per il fotovoltaico.

Da allora abbiamo pubblicato decine di articoli su questa tecnologia, indicandola come una delle più promettenti per la transizione energetica. Una soluzione che risolve in un colpo solo molte delle limitazioni del solare.

Ma restiamo sorpresi del perché l’Italia, che pure era stata una dei paesi pionieri del settore, non ci abbia investito più di tanto, ma anzi l’aveva ostacolata con l’assurda equiparazione delle superficie dei bacini idrici a intoccabile “terreno agricolo”, una stortura a cui si è rimediato solo un paio di anni fa (Il fotovoltaico italiano e quel pasticcio dei terreni agricoli).

Non era solo una tema nazionale: stime sulle potenzialità globali del FVG indicavano come si potesse produrre circa il 35% di tutta l’elettricità mondiale solo coprendo di pannelli un terzo della superficie di 115mila bacini artificiali nel mondo, senza consumare un metro quadro di terreno ed evitando l’evaporazione di 106 miliardi di tonnellate di acqua.

E infatti il mondo, Asia in testa, ha cominciato a cogliere da qualche anno questa opportunità: impianti sempre più impressionanti culminati con quello da 162 MW in esercizio a fine 2023 in Indonesia.

In Italia, invece, dobbiamo ancora vedere in funzione il primo impianto fotovoltaico galleggiante utility scale.

Adesso ricercatori italiani hanno accesso un faro su ciò che il FVG potrebbe dare in uno dei continenti che più avrà bisogno di elettricità nei prossimi decenni, sia perché il 43% della sua popolazione ancora non ce l’ha, sia per l’imponente crescita demografica, da 1,4 a 2,5 miliardi di persone prevista nei prossimi 30 anni: l’Africa.

A valutarlo su Nature Energy sono tre ingegneri del Politecnico di Milano, Wyatt Arnold, Andrea Castelletti e Matteo Giuliani, che hanno studiato il caso dei progetti di sviluppo idroelettrici del bacino dello Zambesi, l’imponente fiume che corre per 2.754 km fra Zambia e Mozambico, creando le famose cascate Vittoria, estrapolando poi i risultati all’intero continente africano.

“Il solare galleggiante sta rapidamente diventando competitivo dal punto di vista dei costi rispetto al solare terrestre e i nostri risultati suggeriscono che potrebbe evitare la costruzione di molte delle dighe previste per la produzione di energia idroelettrica in tutta l’Africa”, dice Arnold.

Insomma, secondo lo studio “Floating photovoltaics may reduce the risk of hydro-dominated energy development in Africa“, questa potrebbe essere una soluzione tecnologica che consentirebbe alle nazioni africane di soddisfare la futura domanda di energia, evitando i dannosi impatti ambientali e sociali dei grandi sbarramenti sui fiumi.

Lungo il fiume Zambesi, in particolare, esistono oggi già due grandi sbarramenti, la diga di Kariba, che forma un lago grande come la Liguria fra Zambia e Zimbabwe e la cui centrale ha una potenza di 2 GW, e la diga di Cabora Bassa, in Mozambico, con un bacino di 2.700 kmq e una centrale da 2 GW.

Vari progetti, basandosi su una stima di altri 16 GW di potenza idroelettrica potenziale lungo lo Zambesi, prevederebbero almeno altre tre grandi dighe, cancellando spettacolari tratti di rapide che attraggono migliaia di turisti ogni anno.

Oltre al danno paesaggistico e turistico, la costruzione di questi nuovi sbarramenti, come successo già al tempo della costruzione delle due esistenti, vorrebbe dire lo spostamento di centinaia di migliaia di persone che oggi vivono lungo il fiume, forti diminuzioni del flusso delle acque, a causa dell’uso dell’acqua per l’irrigazione e per l’evaporazione nel bacino, e notevoli danni ecologici.

Inoltre, i bacini idroelettrici in ambiente tropicale sono sempre a rischio di emettere più CO2 di quanta ne facciano risparmiare a causa della decomposizione della materia organica nelle loro acque.

Così i ricercatori del Politecnico milanese si sono chiesti se l’energia prodotta da queste nuove dighe non potrebbe essere ottenuta più semplicemente usando il fotovoltaico galleggiante o floating PV.

Per capire come il FVG possa produrre enormi quantità di energia, senza bisogno di enormi nuovi sbarramenti con tutti i relativi problemi, basta un semplice calcolo: 1 GW di FV richiede 10 kmq di superficie, e visto che il solare ha una produttività di circa un quarto dell’idroelettrico, se si volesse avere la stessa produzione elettrica annuale di 20 GW di idroelettrico lungo lo Zambesi, basterebbe coprire con pannelli solari il 10% della superficie dei bacini già esistenti, pari a circa 800 kmq.

Peraltro, non servirebbero nuove linee elettriche, visto che potrebbero essere utilizzate quelle già presenti sul posto.

Gli ingegneri milanesi, però, hanno riscontrato altri benefici.

“Abbiamo dimostrato che un modello di sviluppo energetico lungo lo Zambesi basato su una serie di impianti FVG distribuiti lungo il corso del fiume, permetterebbe, a parità di produzione prevista con le nuove dighe, di risparmiare denaro, oltre ai severi impatti ambientali e sociali”, dice Giuliani.

“Inoltre il FVG consentirebbe anche di stabilizzare la produzione elettrica, più di ulteriore utilizzo dell’idroelettrico, visto che questa fonte cala drasticamente nella stagione secca, ultimamente esacerbata dal cambiamento climatico, mentre l’energia solare in quel periodo è particolarmente presente”.

Secondo questo approccio, il solare, sempre accusato di creare instabilità alla rete con la sua intermittenza, qui l’andrebbe a stabilizzare!

Dimostrato il caso dello Zambesi, i ricercatori lo hanno voluto allargare all’intera Africa.

“Utilizzando un modello di pianificazione energetica all’avanguardia che copre l’intero sistema energetico del continente, abbiamo scoperto che il FVG è competitivo dal punto di vista dei costi con le altre fonti di energia rinnovabile e può quindi essere parte fondamentale del futuro mix energetico dell’Africa: anche solo installandolo sui principali bacini esistenti potrebbe produrre dal 20 al 100% dell’elettricità prevista dalle nuove dighe idroelettriche in programma nel continente”, spiega Castelletti.

Usando il FV galleggiante le comunità locali potrebbero spendere meno, avere meno danni e ridurre anche la dipendenza dall’energia idroelettrica, un grosso problema quando arriva la siccità, come dimostrano i recenti problemi in Colombia. Dunque, una garanzia per un approvvigionamento energetico più resiliente alle incertezze della crisi climatica sempre più acuta.

In conclusione viene ribadito un concetto dagli autori dello studio: “i nostri risultati suggeriscono anche che i benefici di ottenere la stessa produzione elettrica prevista dai nuovi impianti idroelettrici, distribuendo impianti FVG lungo il corso dei fiumi, potrebbero evitare i gravi problemi derivanti dalla costruzione di nuove dighe e bacini, che possono sconvolgere in modo irreversibile l’ecologia fluviale, richiedere lo sfollamento delle comunità e creare tensioni fra le nazioni sull’uso delle risorse idriche a monte e a valle delle dighe”.

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