Fotovoltaico cinese in Ue: i dazi e le motivazioni

La Commissione va avanti coi dazi sul fotovoltaico cinese, senza ascoltare le ragioni dei contrari e della Cina, rivendicando esplicitamente di non curarsi di eventuali conseguenze negative per la crescita di questa tecnologia e del contributo nel mix energetico europeo. Il regolamento emanato ieri che contiene le tariffe imposte e le motivazioni.

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La Commissione europea tira dritto coi dazi sul fotovoltaico cinese, senza tener conto delle le ragioni dei contrari – ben 18 Stati membri su 27 – e rivendicando esplicitamente di non curarsi di eventuali conseguenze negative per la crescita di questa tecnologia nel mix energetico europeo. Come annunciato già martedì (vedi QualEnergia.it), ieri l’Esecutivo ha reso note ufficialmente le misure antidumping che colpiranno i prodotti fotovoltaici cinesi importati in Ue.

Dopo un periodo transitorio di due mesi, in cui i dazi si fermeranno all’11,8%, da agosto, se non si troverà una soluzione negoziale, le tariffe saliranno arrivando fino al 67,9% per le aziende che secondo la Commissione hanno fatto più dumping e si sono dimostrate meno collaborative, mentre per quelle che collaborano si fermeranno al 47,6%. In dettaglio, il regolamento 513/2013 del 4 giugno 2013 (vedi allegato in basso), per fare qualche nome, stabilisce per i prodotti Delsolar dazi del 67,9% per JingAo, Shanghai e Hefei 58,7%, per Ldk 55,9%, per Trina 51,5%, per Suntech 48,6%, per Jinzhou 38,3% e per Yingli 37,3%. Tariffe derivate dai margini di dumping medi calcolati per le diverse aziende.

Dal 2009 al giugno 2012 la quota di mercato dei prodotti cinesi è aumentata del 17% per i moduli e le celle e del 27% per i wafer, mentre i prezzi delle importazioni oggetto di dumping sono diminuiti del 64% per i moduli, del 42% per le celle e del 40% per i wafer. La diagnosi dell’Esecutivo è chiara: l’industria dell’Unione è stata costretta a diminuire i prezzi “soprattutto a causa della pressione esercitata dalle importazioni in dumping” e non per effetto dei tagli ai sistemi incentivanti, come dimostra il fatto che il più significativo calo dei prezzi dell’industria europea si è verificato nel 2010 e nel 2011, prima che i principali tagli avessero luogo. Non determinanti per il calo dei prezzi e la crisi dell’industria europea, secondo Bruxelles, crisi economica, oversupply, costo del polisilicio, mancanza di economie di scala e di innovazione tecnologica.

E le possibili conseguenze negative per il settore delle misure protezionistiche introdotte, aumento dei prezzi in primis? La Commissione scrive che “non sono pervenute osservazioni da nessun soggetto che, come le associazioni dei consumatori, rappresenti direttamente gli interessi degli utenti finali” e che “in base agli elementi disponibili si è concluso in via provvisoria che le misure, al livello di dazio proposto, saranno assorbite almeno in parte dalla catena di approvvigionamento e che perciò non si tradurranno necessariamente in prezzi più alti per i consumatori al dettaglio”. Di contro, “senza l’istituzione dei dazi, la probabile scomparsa dell’industria dell’Unione lascerebbe i consumatori con una sola fonte di approvvigionamento di moduli in futuro” e “i produttori esportatori cinesi sarebbero in grado di rafforzare ulteriormente la loro già forte posizione sul mercato; ciò potrebbe anche portare a un aumento dei prezzi a breve e medio termine, a scapito dei consumatori/utenti finali”.

Anche se i dazi si rivelassero uno sgambetto allo sviluppo del FV nel vecchio continente d’altra parte la cosa non turberebbe l’Esecutivo europeo: gli obiettivi Ue per le rinnovabili al 2020, si ricorda “non attribuiscono all’energia solare una percentuale determinata” e quindi “un numero di impianti FV lievemente inferiore non farà aumentare il costo generale dell’Agenda 2020”.

L’indagine sul dumping fotovoltaico contro la Cina e la più importante di sempre in termini di valore. Immediata la reazione della Cina, che ha criticato la “scarsa sincerità e flessibilità nella ricerca di una soluzione negoziale”. Il ministero del Commercio di Pechino per altro ha annunciato per parte sua l’avvio di un’indagine anti-dumping e anti-sussidi contro il vino importato dall’Europa. Resta difficile pensare che la guerra commerciale sia una buona idea dato che, se l’Ue è il primo mercato di sbocco per i cinesi, la Cina è seconda solo agli Usa per import di prodotti europei, 144 miliardi l’anno contro i 290 esportati in Europa.

Tra i pochi soddisfatti della decisione c’è la coalizione di industrie europee EU ProSun, che pale di “ prima passo importante dopo tre anni di dumping cinese che ha causato la perdita di lavoro a migliaia di europei e la chiusura di 60 aziende europee delle quali 30 solo in Germania. Il risultato finale dell’indagine sarà l’adozione di misure efficaci sulle tariffe o una soluzione negoziata con la Cina. É fondamentale che la Cina blocchi il dumping. Non appena verrà interrotto il dumping illegale, il settore solare europeo potrà tornare ad essere pienamente competitivo“.

Anzi, per la coalizione protezionista i dazi sarebbero troppo bassi. “Il margine medio di dumping accertato dall’indagine, pari all’88%%, è ben lontano dalle misure molto mitigate decise dalla Commissione”, ha dichiarato Alessandro Cremonesi, presidente del Comitato Ifi, associazione italiana aderente a EU ProSun. Il timore di Cremonesi è che la fase transitoria con dazi limitati all’11,8% lungi dal produrre benefici per la manifattura europea e nazionale “porti a massicce importazioni di prodotto dalla Cina tali da coprire molti mesi di domanda interna”

Diametralmente opposta la reazione dell’Alleanza per un’energia solare accessibile, Afase (che abbiamo riportato già ieri qui) convinta che “qualsiasi livello di dazi danneggerà seriamente l’industria solare europea”. Secondo Thorsten Preugschas, amministratore delegato della tedesca Soventix e membro del consiglio di Afase, “gli attuali sviluppi del mercato non lasciano spazio per un aumento dei prezzi. Perciò, anche dazi all’11,8% bloccheranno la realizzazione della gran parte dei progetti FV nella Ue e causeranno gravi danni alla catena di valore del solare europeo”.
Afase lancia dunque un “appello a entrambe le parti perché raggiungano, entro i prossimi 2 mesi, un accordo che eviti l’aumento dei prezzi, tenendo in considerazione gli interessi dei settori europei a monte e a valle dell’industria solare”.

Preoccupazione anche tra diverse aziende italiane del FV. “E’ sufficiente tenere in considerazione che l’industria solare europea si basa in larga parte su componenti importati, per capire come una simile decisione ponga un ostacolo insormontabile allo sviluppo, meglio, alla sopravvivenza stessa dell’industria solare europea ed italiana in particolare. Studi tecnici e società d’impiantistica utilizzano i moduli, soprattutto di origine cinese, per la realizzazione di impianti fotovoltaici, ma circa il 70% del valore aggiunto è generato nel territorio europeo“, sottolinea Paolo Rocco Viscontini, ad di Enerpoint. Rincara la dose Giancarlo Tecchio, CEO di Pr.En.Al: ” Un simile intervento non farà infatti che ostacolare lo sviluppo dell’industria solare, facendo aumentare i costi del settore, proprio nel momento in cui l’energia solare stava raggiungendo la grid parity in gran parte dei Paesi europei” commenta tirando in ballo “le pressioni operate dalle utility dell’energia legate allo sfruttamento soprattutto dei combustibili fossili e totalmente irresponsabili rispetto alle evidenze degli effetti del continuo aumento della concentrazione CO2, che stanno minando i principi fondativi dell’Unione Europea”.

 

Il regolamento 513/2013 del 4 giugno 2013 (pdf)

 

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