Lo spettro delle riserve oil&gas non ancora esplorate

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Il potenziale in termini di CO2 equivalente liberata nell'atmosfera dei giacimenti non ancora attivi supera di molto il carbon budget stimato dalla Iea per il periodo 2024-2028. Una preoccupante analisi di Carbon Tracker Initiative.

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Le scoperte di nuovi giacimenti di gas e petrolio procedono a ritmo sostenuto, e con il carbon budget globale in costante diminuzione si rende quanto mai necessaria l’esistenza di una fonte liberamente accessibile che possa quantificare le emissioni di CO2 equivalente di ogni nuovo ritrovamento.

Un lavoro di cui ha provato a farsi carico Carbon Tracker Initiative (Cti), think tank no-profit britannico che studia gli impatti del cambiamento climatico sui mercati finanziari, pubblicando il report “From Net Zero to New Zero: Reserves Estimates in a Decarbonizing World” (link in basso), che pone l’accento sulla tracciabilità delle emissioni “embedded” (cioè relative all’intera filiera di utilizzo di quelle risorse, a cominciare dall’estrazione), sollecitando una rendicontazione standardizzata da parte dei governi.

Carbon Tracker Initiative ha anche creato il database Fossil Fuel Registry per aggregare i dati.

Per “riserva” gli analisti di Cti intendono qualsiasi giacimento di petrolio e gas presente nel sottosuolo e ritenuto geologicamente recuperabile in “condizioni economiche ragionevolmente prevedibili”.

Questi superano di gran lunga qualsiasi budget per le emissioni di carbonio che sia in linea con gli scenari tracciati dall’Accordo di Parigi. Nel corso di un webinar in cui veniva illustrato il contenuto della ricerca, Richard Folland, responsabile delle politiche di Cti, ha spiegato come queste siano circa 7 volte maggiori del carbon budget stimato dalla Iea per il periodo 2024-2028 (359 Mt CO2/anno).

La criticità principale che riguarda gli attuali sistemi di rendicontazione delle riserve è che questi si concentrano principalmente sulle variazioni nette del saldo annuale (nazionale o riferito a ciascuna azienda produttrice) per avere un quadro di quali siano i volumiancora disponibili per la vendita.

Ma questo calcolo tiene fuori l’aggiunta di nuovi siti produttivi. I dati disponibili sulle riserve, in termini generali, si sono mantenuti più o meno stabili negli ultimi anni a livello globale.

Secondo elaborazioni Opec del 2022 i saldi delle riserve nette sono aumentati in un decennio dell’1% per quanto riguarda il greggio (raggiungendo 1.564 miliardi di barili) e del 2,3% per il gas (210 miliardi di metri cubi).

Cti calcola che le emissioni “embedded” di questi volumi siano di almeno 19 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, un totale rilevante se si considera l’esiguità del carbon budget rimanente.

In realtà si tratta però di una sottostima. La rendicontazione delle riserve “nette” non tiene conto dei volumi prodotti.

Questo vuol dire che i dati di fine 2022 evidenziati da Opec sono stati raggiunti nonostante la produzione e il consumo di petrolio e di gas per un totale di circa 25 miliardi di tonnellate di emissioni embedded.

Il volume reale delle emissioni nelle nuove esplorazioni nel 2022 è molto probabile quindi che si aggiri tra i 25 e i 30 miliardi di tonnellate. “La cosa peggiore – fanno notare gli analisti – è che questa cifra non può essere stimata con certezza per mancanza di informazioni”.

In altre parole, le aziende e i governi riportano solo il saldo netto delle riserve ancora disponibili per la produzione. Ma la produzione non si è mai interrotta: quindi, se il saldo è rimasto costante, vuol dire che sono state trovate nuove riserve per bilanciarla.

Per spezzare questa catena il primo passo – suggerisce Johnny West, consulente di Cti – è prevedere le emissioni dei pozzi destinati a future esportazioni e bloccarle sul nascere. Come è evidente da un grafico esemplificativo sui giacimenti nel Golfo del Messico, sono proprio quelli a contenere il potenziale emissivo più alto. “Poi si può passare ai pozzi già scoperti e riconosciuti come potenziali riserve accessibili, e infine a quelli attualmente attivi”, spiega West.

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Proprio nel Golfo del Messico, mentre le majors hanno ridotto le proprie riserve, ne hanno contemporaneamente aggiunte di nuove: 40 miliardi di barili negli ultimi 50 anni, per la precisione, la metà dei quali scoperti in siti già esistenti e operativi.

Nello scenario net-zero della Iea non è previsto lo sviluppo né l’esplorazione di nuovi progetti di petrolio e gas. E a febbraio un pool di associazioni ambientaliste, tra le quali Transport&Environment, Wwf e Greenpeace, avevano rilasciato un report secondo il quale l’Europa non avrà bisogno di ulteriori giacimenti di gas, a fronte di un calo atteso della domanda del 32% entro il 2030.

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