L’obiettivo primario? Ridurre le emissioni, partendo da quelle del carbone

Riceviamo da GB Zorzoli un articolo critico su un nostro pezzo di gennaio in merito all'attuale dibattito carbone vs gas vs rinnovabili, che volentieri pubblichiamo. La replica dell'autore.

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Pur seguendo con attenzione gli interventi ospitati da QualEnergia.it, spesso ricavandone informazioni o suggerimenti utili, confesso che mi era sfuggito l’articolo E se fosse meglio tenerci un po’ più a lungo carbone e nucleare?”, dello scorso 12 gennaio. L’ho appena recuperato, grazie a un’opportuna segnalazione.

Prima di entrare nel merito, ricordo che il contrasto della crisi climatica rimane l’obiettivo prioritario, da portare avanti senza esitazioni e ripensamenti, con strategie politiche che non lascino nessuno indietro sotto il profilo economico e sociale.

Lo strumento principe (non l’unico) per monitorarne il successo è la riduzione delle emissioni climalteranti.

Non a caso un recente rapporto di Ember segnala con toni preoccupati che, mentre nel 2011-2019 oltre l’80% della nuova generazione elettrica rinnovabile sostituiva in Europa quella delle centrali a carbone, l’eccezionale rincaro del gas ha aumentato drasticamente il costo del kWh prodotto dai cicli combinati, per cui nel 2020-2021 il 52% della nuova generazione rinnovabile ha invece sostituito quella delle centrali a gas, un terzo quella del nucleare e solo un sesto quella degli impianti che bruciano carbone.

Con un conseguente impatto negativo sulle emissioni climalteranti, il cui tasso di riduzione è sceso alla metà di quanto necessario per tenere sotto 1,5 °C l’incremento della temperatura globale.

Di fronte a questi dati, la prima domanda da porsi dovrebbe essere: visto che il prezzo del gas sembra destinato a rimanere alto anche nel 2023 e per evitare il ripetersi, in futuro, di analoghe congiunture, come intervenire per accelerare il phase-out del carbone?

Poiché i prezzi elevati raggiunti dagli ETS si sono rivelati insufficienti a contrastare il fenomeno, andrebbero richiesti con forza vincoli più stringenti per le emissioni di SO2 e di particolato solido, abbinando all’accelerazione del phase-out la riduzione dell’inquinamento atmosferico delle centrali a carbone ancora in esercizio.

Di parere contrario, a mala pena mitigato da un punto interrogativo, sembra invece l’autore dell’articolo, secondo il quale con «una veloce uscita dal carbone e dal nucleare … si avrebbe una riduzione delle emissioni, ma visto il modo in cui pensiamo di uscirne, sostituendo quelle due fonti “temporaneamente” con un maggiore uso di gas naturale, fa venire pesanti dubbi sulle gravissime conseguenze potenziali di questa strategia», che offre alla Russia un’arma geopolitica.

A conferma di questa tesi segue una disamina della situazione mondiale e delle posizioni assunte da Bruxelles, in particolare con l’inclusione del nucleare e del gas nella tassonomia verde. che lo porta a fare «una riflessione che potrebbe sembrare “eretica”: ma siamo così sicuri che ci convenga abbandonare rapidamente carbone (e nucleare) per sostituirlo con un’altra fonte fossile, che sarà pure meno inquinante e con un terzo delle emissioni (a cui vanno però aggiunte le perdite dirette di metano, potente gas serra), ma che presenta i pesanti rischi politico-economici che si sono elencati?».

La parte conclusiva dell’articolo indica nella rapida sostituzione delle centrali a carbone con rinnovabili la soluzione da portare avanti, una strategia di cui peraltro riconosce la complessità, e che non a caso è quella degli obiettivi del Green Deal europeo. Ma nel frattempo in Europa evitiamo di abbandonare troppo rapidamente carbone e nucleare per dipendere meno dal gas?

Come commento personale a questo articolo prendo a prestito da Talleyrand il suo giudizio su un’analoga proposta: è peggio di un crimine, è un errore.


La risposta di Alessandro Codegoni, autore dell’articolo:

Gentile professor Zorzoli, la ringrazio del suo intervento, visto che lo scopo dell’articolo era proprio di suscitare un dibattito sulla strada migliore per compiere la transizione, alla luce di quanto abbiamo capito sul metano in questi mesi.

Quanto lei illustra mi troverebbe perfettamente d’accordo se fossimo ancora nei primi mesi del 2021, ma quanto accaduto da quel momento in poi, a mio avviso, ha gettato una luce profondamente sinistra sull’ “energia di transizione” che l’Europa ha scelto di impiegare largamente per sostituire carbone e nucleare.

Nel senso che se ci impelaghiamo ancora di più con quella, il nostro continente rischia di subire shock energetici, e ricatti geopolitici, a ripetizione, che, alla fine, potrebbero portare a rivolgimenti tali nei paesi più esposti alla dipendenza da gas (Italia in primis), da portare al potere forze molto ostili alla transizione energetica e più affini alle autocrazie del metano, che non amano particolarmente le democrazie europee.

Per questo la mia idea sarebbe quella di creare un grande progetto di ricerca europeo, per realizzare modelli standard di centrali rinnovabili + accumulo, pensate per sostituire direttamente gli impianti baseload, senza passare da un’accresciuta dipendenza da gas. Ovviamente questi impianti sarebbero diversi dagli impianti centralizzati: la parte di produzione potrebbe anche essere distribuita e costituita da più fonti, come nelle “centrali virtuali”, mentre la parte innovativa sarebbe costituita dal mix di sistemi di accumulo, per coprire il carico costante o quasi 24/365.

Al momento la realizzazione di questi impianti viene essenzialmente richiesta al mercato, tutt’al più con qualche incentivo pubblico per spingerli nelle direzioni meno impattanti, il che fa sì che le aziende, non avendo come compito investire in progetti innovativi, ma far contenti gli azionisti, puntano per lo più al gas per il baseload in sostituzione di carbone e nucleare.

Se la parte innovativa la facesse la ricerca pubblica, forse riusciremmo a compiere la transizione energetica più velocemente, con minori rischi e magari persino, visti gli attuali costi del gas, con minori spese. Si tratterebbe di procrastinare la chiusura di carbone e nucleare di pochi anni, per poi accelerarla in seguito, in quanto invece di una fase di transizione con un po’ meno emissioni, passeremmo direttamente alle “emissioni zero”.

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