Non solo nucleare, tutte le critiche al Pniec

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Coordinamento con altre normative, coinvolgimento degli stakeholder, strategia Fer e Ccs sono gli elementi per la bocciatura del piano da parte di associazioni ambientaliste e opposizioni.

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Anche se è la parola “nucleare” è quella che ha destato le maggiori polemiche sul Pniec inviato ieri dall’Italia alla Commissione Ue, sono in realtà diverse le critiche che in appena 24 ore sono state mosse alla nuova versione di Piano nazionale integrato energia-clima.

In una nota congiunta, ad esempio, Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente, Transport&Environmen e Wwf Italia bocciano il ricorso al gas e denunciano “la mancanza di un target specifico di riduzione delle emissioni di CO2”.

Giudicati “deboli” i target di crescita delle fonti rinnovabili: “Si parla di 131 GW di potenza complessiva, di cui 74 GW di nuova capacità, inferiore anche agli obiettivi del decreto aree idonee, di cui 57 da solare e 17 da eolico”.

Su questa strada, secondo le associazioni, si perdono “almeno 16 GW di nuova potenza”.

Infine, da considerare anche “il mancato rispetto dei target previsti dalla normativa europea (come nel caso dei target effort sharing)”, la presenza di “false soluzioni” citando la Ccs e l’occasione persa di coinvolgere meglio “società civile e stakeholder”.

A voler essere maggiormente coinvolto è anche il Parlamento, nelle parole degli esponenti PD Annalisa Corrado, Vinicio Peluffo e Marco Simiani. In un comunicato dei democratici, inoltre, si segnala in negativo una mancatacoerenza con gli altri strumenti normativi”.

Critica che viene sollevata anche dal mercato. Guardando le reazioni sui social network si registra, ad esempio, quella di Alessandro Migliorini, country manager Italia della società danese European Energy: “per fare 131 GW al 2030 l’Italia dovrà cambiare approccio e accelerare. Occorre prendere atto, ancora una volta, della distanza fra gli obiettivi dichiarati e le modalità con cui si intende raggiungerli”.

L’esempio è sul decreto aree idonee che “oltre a garantire grande discrezionalità alle Regioni, non prevede nessuna clausola di salvaguardia sui progetti in corso di autorizzazione. Questi due elementi già raccontano una storia diversa dal voler massimizzare la penetrazione delle rinnovabili”, ha detto Migliorini.

Il nucleare della discordia

Come si accennava è il seme del nucleare piantato dal Governo nel Pniec che desta le maggiori critiche e polemiche.

Le associazioni ambientaliste citate parlano di “irrazionalità” e di una relativa “neutralità tecnologica” invocata dal documento solo come un “nascondersi dietro a un dito”.

Più nel dettaglio: “L’operazione vera è mantenere lo status quo perché qualsiasi apertura alle tecnologie nucleari fissili, che in realtà nulla hanno di nuovo (ad iniziare i fallimentari small modular reactor), dopo che in Italia ben due referendum si sono espressi in senso contrario, avrebbe comunque tempi ben più lunghi di quelli dettati dalla traiettoria della transizione”.

Il tentativo di riproporre il nucleare – evidenziano le associazioni – appare totalmente non in linea con una strategia di rapida decarbonizzazione, senza voler considerare i rilevanti rischi ambientali connessi e la bassissima accettabilità sociale.

Reazione analoga si registra dall’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa, oggi deputato M5S, che fa notare come la notizia del Pniec sia arrivata nella giornata dello stop al mercato tutelato: “Non si rafforzano le tecnologie già disponibili, come le rinnovabili, che servono ad abbassare le bollette di cittadini e imprese, a costruire nuove filiere produttive per il lavoro e a ridurre realmente la dipendenza dall’estero”. Il nucleare, dal canto suo, è bollato come “fantasia”.

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