Sul decreto aree idonee bocciatura secca degli ambientalisti

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Greenpeace, Legambiente e Wwf affermano che il provvedimento è un'ulteriore barriera contro le rinnovabili e complica ancora di più le autorizzazioni, lasciando carta bianca alle Regioni su molti aspetti.

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Dal mondo ambientalista arrivano nuove critiche ai provvedimenti del governo in tema di energie rinnovabili, considerati troppo limitanti per lo sviluppo del fotovoltaico e dell’eolico.

Greenpeace, Legambiente e Wwf, in una nota congiunta, si scagliano contro il decreto Aree idonee, che si configura “come un’ulteriore barriera per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia e quindi non solo per le politiche climatiche, ma anche per l’indipendenza e la sicurezza energetica”.

Il decreto, ricordiamo, è attuativo del D.lgs. 199/2021 ed è stato approvato in Conferenza Unificata venerdì scorso, 7 giugno, con alcune novità rispetto alla bozza circolata in precedenza, tra cui l’eliminazione della norma sul periodo transitorio (che tutelava i progetti già avviati) e modifiche alla fascia di rispetto dai beni tutelati per garantire più discrezionalità alle Regioni.

Il provvedimento è stato già ampiamente contestato dalle associazioni delle rinnovabili, così come il dl Agricoltura che vieta il fotovoltaico a terra sui suoli agricoli produttivi (oggi, 13 giugno, è il termine per presentare gli emendamenti per la conversione in legge).

Per le associazioni ambientaliste il dl Agricoltura è una “norma sconsiderata che non aiuterà a frenare i consumi di suolo” – fa eccezione Amici della Terra che invece vorrebbe tutelare ancora di più il territorio – mentre l’accordo sulle aree idonee “amplia ulteriormente le restrizioni, dando di fatto una nuova stretta alle zone su cui potranno essere installati gli 80 GW di nuove rinnovabili, previsti nel decreto, necessarie al raggiungimento degli obiettivi [sulle Fer al 2030]”.

Il decreto, scrivono Greenpeace, Legambiente e Wwf, “doveva prevedere principi uniformi per la selezione di aree nelle quali le rinnovabili potessero essere autorizzare in modo più semplice e rapido. Al contrario, l’ultima versione del decreto, diffusa dopo l’esame in Conferenza Stato-Regioni, fondamentalmente lascia carta bianca alle Regioni nella selezione delle aree idonee, di quelle non idonee e di quelle ordinarie”.

Il risultato è che “il quadro autorizzativo per le rinnovabili diventa ancor più complicato, senza una cornice di principi omogenei capaci di indirizzare la successiva attività di selezione delle aree, da effettuarsi con leggi regionali”.

I punti critici riguardano proprio il rapporto tra lo Stato e le Regioni, secondo gli ambientalisti: “emblematica l’eliminazione di qualsiasi riferimento al necessario aggiornamento degli atti di pianificazione energetica, ambientale e paesaggistica, così come la piena – e arbitraria – discrezionalità delle Regioni nell’estensione della fasce di rispetto, per le aree che presentano beni culturali, fino a 7 km”.

La nuova versione del decreto, si spiega, “non riesce neppure a confermare in modo uniforme la qualifica di aree idonee per quelle aree espressamente indicate come tali dall’articolo 20, comma 8 del d.lgs. 199/2021, prevedendo sul punto solamente che le Regioni “tengono conto della possibilità di fare salve” tali aree”.

L’eliminazione dell’articolo 10 sul transitorio è poi considerato “il punto di caduta definitivo”, perché si rischia “di dare validità retroattiva al provvedimento, ledendo diritti acquisiti e, soprattutto, rendendo l’Italia un Paese inaffidabile per gli investitori”.

Si segnala infine “lo spettro delle dilatazioni nei tempi burocratici”, perché il Mase dovrà vigilare sul raggiungimento degli obiettivi e, in caso di inadempienza, adottare opportune iniziative ai fini dell’esercizio di poteri sostitutivi della costituzione, ma “prima che possa effettivamente farlo, alle Regioni, tra una richiesta d’osservazioni e l’altra, verranno comunque dati circa 15 mesi di autonomia”.

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