Come uscirà il Green Deal da queste elezioni europee?

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Dai risultati provvisori sembra tenere la maggioranza attuale centrista che sostiene Ursula von der Leyen, ma lo scenario si complica con l'avanzata delle destre, il crollo dei Verdi e il malcontento per molte politiche varate da Bruxelles.

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Ursula von der Leyen, sulla carta, dovrebbe avere la possibilità di guidare per un secondo mandato la Commissione europea, ma l’ascesa delle destre soprattutto in Francia e Germania potrebbe rimettere in discussione gli attuali equilibri politici.

A complicare le possibili alleanze tra partiti, con ogni probabilità interverranno i temi ambientali del Green Deal, criticati da molti esponenti conservatori dello stesso Partito popolare, mentre i Verdi hanno perso la spinta ricevuta alle precedenti elezioni europee.

Secondo i risultati provvisori comunicati dal Parlamento europeo al momento in cui scriviamo, il Partito popolare europeo (EPP) conquista 185 seggi a Strasburgo sui 720 totali, seguito dai Socialdemocratici (S&D) con 137 e dai liberali di Renew Europe con 80.

Questi ultimi però perdono ben 22 seggi rispetto alle elezioni del 2019; crollano anche i Verdi, che si assicurano 52 seggi, 19 in meno rispetto alla composizione uscente del Parlamento.

Crescono invece Conservatori e Riformisti (ECR, cui aderisce Fratelli d’Italia), il gruppo Identità e Democrazia (ID, cui aderisce la Lega), così come i membri non allineati ad alcun gruppo, che in complesso raggiungono 99 seggi, 37 in più rispetto al 2019.

I risultati italiani, a scrutini quasi completi (61.350 sezioni su 61.650), vedono Fratelli d’Italia in testa con il 28,8% dei voti, davanti a PD e M5S con rispettivamente il 24% e il 10%, mentre Forza Italia e Lega viaggiano entrambi sul 9% e si nota il 6,7% ottenuto da Verdi/Sinistra. I partiti di Renzi e Calenda, invece, non superano lo sbarramento del 4% e restano fuori dell’Europarlamento

Poiché un candidato designato alla presidenza dell’esecutivo Ue ha bisogno di almeno 361 voti in Parlamento, per essere eletto, la maggioranza centrista di von der Leyen potrebbe tenere: sommando i seggi provvisori di EPP, S&D e Renew, infatti, si arriva a 402 (ricordiamo che nel 2019 von der Leyen ottenne 383 voti per la sua candidatura).

Sommando ancora i seggi dei Verdi, l’ipotetica maggioranza von der Leyen salirebbe a 454 parlamentari, più che sufficienti a garantire una certa stabilità al suo lavoro, anche in caso di defezioni interne su alcuni provvedimenti del nuovo esecutivo.

Ci sono però diverse variabili da considerare.

Se von der Leyen farà il suo secondo mandato a Bruxelles, non potrà ignorare i segnali politici emersi dalla tornata elettorale, in primis l’avanzata della destra estrema in Francia e Germania.

In Francia il Rassemblement National di Marine Le Pen è il primo partito e ha doppiato quello del presidente Macron, tanto che lo stesso Macron ha deciso sciogliere la Camera e andare a nuove elezioni il 30 giugno. In Germania l’Afd ha sorpassato i socialdemocratici del cancelliere Scholz, diventando il secondo partito dietro i cristiano-democratici.

Con le destre così forti nelle principali potenze economiche europee, contando anche la piena conferma in Italia del partito di Giorgia Meloni, il prossimo ciclo politico europeo dovrà essere più attento a gestire le spinte del malcontento popolare, che ha agitato le acque elettorali.

In questo scenario, molte politiche “verdi” sono percepite dai cittadini come imposizioni dall’alto che fanno aumentare il costo della vita: basti pensare alle polemiche che hanno accompagnato, ad esempio, il regolamento che vieta la vendita di nuove auto endotermiche dal 2035 e la direttiva case green con i suoi obiettivi di riqualificazione energetica degli edifici.

Un’eventuale von der Leyen bis dove potrebbe cercare più appoggio, in un simile contesto? Tra i Verdi che sono crollati, ma così rischiando di scontentare i membri più conservatori del PPE? Oppure guardando più a destra, rischiando però di perdere consensi al centro?

Certamente il prossimo esecutivo dovrà rispondere in modo più efficace alle sfide economiche e sociali del Green Deal: realizzare una transizione energetica e ambientale equa, ben finanziata e in grado di appianare le disuguaglianze, spiegando alle persone perché è importante, oltre che conveniente, fare il “ricambio tecnologico” (dalle auto termiche a quelle elettriche, dalle caldaie a gas alle pompe di calore e così via).

Bruxelles avrà la forza di farlo? Già nei prossimi giorni avremo più elementi per capire quale direzione si prenderà e se il pilastro del primo esecutivo von der Leyen, il Green Deal, ha un futuro solido o rischia di uscire indebolito da queste elezioni.

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