Ora spunta il soccorso alle fossili, danneggiate dal fotovoltaico

Per sopperire alla variabilità della produzione da rinnovabili, saranno remunerati i servizi di flessibilità assicurati dagli impianti termoelettrici. La novità in un emendamento al Decreto Sviluppo. Un salvagente, pagato dai cittadini, lanciato agli impianti a cicli combinati a gas in difficoltà per l'overcapacity e la concorrenza delle rinnovabili.

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Per sopperire alla variabilità della produzione da fonti rinnovabili, saranno remunerati i servizi di flessibilità assicurati dagli impianti a ciclo combinato a gas. Lo prevede un emendamento al Decreto Sviluppo dell’ex sottosegretario all’Energia, Stefano Saglia (Pdl), sottoscritto anche da Pd, Lega e Fli, e approvato dalle commissioni Finanze e Attività Produttive della Camera e al quale il Governo ha dato parere favorevole.

In anticipo su quanto previsto, insomma, sembra arrivare il capacity payment, la remunerazione degli impianti in base alla potenza messa a disposizione e non alla mera produzione. Un salvagente invocato in diversi Paesi dove la concorrenza delle rinnovabili sta mettendo in grosse difficoltà economiche chi aveva investito in centrali termoelettriche come i cicli combinati a gas.

Come abbiamo spiegato diverse volte su queste pagine, con l’esplosione del fotovoltaico, che durante il giorno produce elettricità a costo marginale zero e con priorità di dispacciamento, tenendo bassi i prezzi in Borsa nel picco diurno, gli impianti a ciclo combinato a gas durante il giorno spesso non riescono a vendere energia. Per ripagare l’investimento queste centrali dovrebbero funzionare almeno 4mila ore l’anno, invece ne stanno funzionando 2.500-3mila proprio a causa della concorrenza del fotovoltaico.

I proprietari dei cicli combinati a gas si stanno in parte rifacendo del danno economico tenendo alti i prezzi in Borsa nel picco serale (vedi Qualenergia.it), quando il concorrente fotovoltaico “dorme”, ma questo non sembra bastare, come vediamo dalle notizie recenti di centrali a gas in difficoltà. La soluzione potrebbe essere appunto il capacity payment: cioè pagare questi impianti, che con la loro grande flessibilità compensano molto bene le variazioni di produzione delle rinnovabili non programmabili, per la capacità di stabilizzazione del sistema elettrico che offrono.

Ed ecco la novità inserita nel Decreto Sviluppo. Una sorta di anticipazione del sistema di capacity payment, cioè di remunerazione della potenza disponibile, che l’Autorità per l’Energia aveva pensato a partire dal 2017 quando, aveva spiegato, si prevede sia terminata l’attuale situazione di eccesso di potenza disponibile (overcapacity).

Sarà l’Autorità per l’Energia, secondo l’emendamento, a definire – entro 90 giorni dall’approvazione della legge di conversione del decreto – le modalità per la selezione degli impianti e la loro remunerazione, che ovviamente avverrà con soldi prelevati dalle bollette.

In una recente intervista ad Arturo Lorenzoni chiedevamo proprio dello scontro tra rinnovabili e fonti fossili in una fase di eccessiva capacità nella generazione di punta. Il professore dell’Università di Padova ci spiegava che il problema era stato sottovalutato negli anni passati dal momento che si sapeva che esistavano obblighi europei per la crescita delle rinnovabili e che lo spazio per gli altri impianti si sarebbe ridotto. “Sapevamo che questa evoluzione avrebbe fatto male a qualcuno. Ci vuole pragmatismo nel gestire questo passaggio. Alcuni potrebbero dire che si sapeva che ciò sarebbe accaduto e chi ha investito in centrali a ciclo combinato sapeva in che rischio si metteva. Però, d’altra parte, la dimensione del fenomeno in Italia è così imponente che è difficile pensare che questi operatori possano essere lasciati da soli a leccarsi le ferite”, ci disse Arturo Lorenzoni.

Chiedevamo allora quale potesse essere la soluzione. Lorenzoni che sperava di evitare una soluzione ‘all’italiana’ (cosa che invece sta verificandosi) ci parlava della possibilità di fare come nel Regno Unito nella sua fase di overcapacity: “Lo Stato potrebbe proporre ai proprietari delle centrali tradizionali, che lavorano poche ore, di pagare loro gli interessi sui mutui che devono sostenere per i prossimi cinque anni e concordare con le banche la posticipazione del rientro del debito. Poi nel 2016 o nel 2017 si deciderà se quell’impianto servirà oppure no. Nel frattempo li togliamo dal mercato elettrico, perché non ha senso tenere una sovraccapacità così ampia che va a falsare tutti gli equilibri di mercato. L’idea di fare un ‘capacity payment’, cioè dare una remunerazione a tutta la potenza installata, sarebbe per i consumatori una doppia beffa perché si tratterebbe di un prelievo oneroso per un bene di cui non hanno bisogno”, concludeva l’esperto.

Ora invece si ‘socializzano’ anche le perdite di alcuni imprenditori avventati. Il quadro complessivo ci sembra sempre più a tinte fosche.

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