Quanta acqua consumano gli impianti a fonti fossili? Una mappa del rischio idrico

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Il World Resources Institute ha elaborato un nuovo metodo per stimare la domanda di acqua richiesta per il funzionamento delle centrali termoelettriche. Il caso dell’India: stress idrico in aumento a causa del predominio delle fonti convenzionali, carbone in testa, nel mix energetico. Dati e previsioni.

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Quanta acqua consumano le grandi centrali termoelettriche?

Rispondere con precisione è difficilissimo, evidenzia una recente analisi del World Resources Institute (WRI) sulla domanda di risorse idriche nel settore energetico, perché le informazioni disponibili sono molto scarse e lacunose.

Gli impianti a gas, a carbone e i reattori nucleari utilizzano notevoli quantità d’acqua per produrre elettricità: il prezioso liquido, infatti, è indispensabile nei processi di raffreddamento.

Tuttavia, osserva il WRI, nel principale archivio globale delle unità di generazione (World Electric Power Plants Database) mancano i dati sui consumi idrici per oltre il 40% degli impianti, perché diversi paesi non prevedono l’obbligo di divulgare tali statistiche.

Secondo gli esperti dell’organizzazione mondiale di ricerca, questi dati sono fondamentali per pianificare in modo corretto l’installazione di nuove fonti di energia, limitando il più possibile la competizione per l’impiego dell’acqua tra i siti industriali, l’agricoltura, gli allevamenti, l’approvvigionamento delle reti municipali, soprattutto nei territori aridi e semi-aridi.

Così il WRI ha creato un metodo basato sul raffronto delle immagini satellitari, per individuare gli impianti termoelettrici e le rispettive caratteristiche dei sistemi di raffreddamento, per poi combinare le stime empiriche sull’intensità dei prelievi idrici delle singole centrali con i dati sulla generazione elettrica, calcolando, infine, in modo approssimativo la quantità d’acqua prelevata-consumata in un certo periodo.

Il metodo, descritto in dettaglio nel documento “A methodology to estimate water demand for thermal power plants in data-scarce regions using satellite images“, è stato testato su 200 impianti negli Stati Uniti, precisa il World Resources Institute, con un’accuratezza del 90% circa per quanto riguarda l’identificazione del tipo di carburante/sistema di raffreddamento, e una precisione intorno al 69% sulle stime della domanda idrica, secondo la maggiore o minore disponibilità di dati sulla produzione elettrica.

Gli analisti del WRI hanno poi collaborato con l’agenzia internazionale delle rinnovabili (IRENA, International Renewable Energy Agency) per approfondire il caso dell’India, un paese afflitto da un forte “stress idrico” che minaccia anche la sicurezza del suo approvvigionamento energetico.

Il 40% delle centrali termoelettriche indiane, secondo il WRI, si trova in aree colpite dalla scarsità idrica, come riassume la mappa seguente, tratta dallo studio “Parched Power: Water Demands, Risks, and Opportunities for India’s Power Sector”.

Quattordici delle maggiori venti utility indiane, si legge nel documento, hanno dovuto chiudere almeno una volta i loro impianti a causa della temporanea mancanza d’acqua nel periodo 2013-2016, con perdite stimate in circa 1,4 miliardi di dollari per le minori vendite di elettricità.

Il settore termoelettrico, prosegue lo studio, domina il mix energetico indiano con oltre l’80% dell’output complessivo. Il punto è che il 90% degli impianti fossili e nucleari dipende dall’acqua dolce di laghi e fiumi per i processi di raffreddamento, tanto che il consumo idrico dal 2011 al 2016 è aumentato del 43%, arrivando a 2,1 miliardi di metri cubi/anno.

Per dare un termine di paragone: nel 2010, l’utilizzo totale d’acqua potabile in ambito residenziale è stato di 7,5 miliardi di metri cubi, contro 1,5 miliardi di metri cubi assorbiti dagli impianti fossili, che quindi hanno “bevuto” l’equivalente del 20% dell’acqua consumata da tutti i cittadini indiani per gli usi domestici.

Negli ultimi quattro anni, rimarca il WRI, la scarsità idrica ha fatto perdere 30 TWh di generazione elettrica alle utility indiane, come mostra il grafico seguente.

Il problema è che lo stress idrico è destinato a peggiorare nei prossimi anni, a causa di diversi fattori, tra cui l’incremento di domanda energetica, i cambiamenti climatici, la sovrappopolazione urbana.

C’è qualche rimedio? Lo studio congiunto WRI-IRENA, Water Use in India’s Power Generation, fornisce alcuni scenari di mitigazione del rischio idrico al 2030.

In sintesi, con una politica incentrata sulla crescita delle fonti rinnovabili (vedi anche: L’India verso 20 GW di fotovoltaico. E dopo il 2017?) e sull’installazione di tecnologie di raffreddamento più efficienti, con obblighi vincolanti per le singole centrali, l’India potrebbe ridurre sensibilmente l’intensità dei prelievi e dei consumi idrici in campo energetico, come precisa l’ultimo grafico sulle proiezioni IRENA e CEA (Central Electricity Authority of India).

Sul tema vedi anche: La scarsità di acqua mette sotto pressione il sistema energetico

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