Ma chiudere una centrale è complicato e costoso almeno quanto costruirla: per il “decomissioning” delle centrali britanniche occorreranno 130 anni e molti più soldi di quanto si pensava. Nuove stime sui costi del decomissionamento infatti sono state rese note giovedì 17 luglio dalla Nuclear Decomissioning Authority: per chiudere le centrali inglesi giunte a fine carriera e smaltire le scorie servono 10 milardi di sterline in più rispetto agli ultimi calcoli.
La spesa totale, dai 73 miliardi di sterline stimati nel 2007, nei calcoli dell’NDA è infatti salita a 83: oltre 104 miliardi di euro. A far lievitare il preventivo, segnala l’NDA, i costi crescenti delle opere di ingegneria, le spese per affrontare problemi di sicurezza più complicati del previsto alla centrale di Sellafield, e i fermi dovuti a vari problemi tecnici di due centrali per il riprocessamento del combustibile: Thorp e Mox. Proprio dal riprocessmento del combustibile e dalla generazione elettrica, secondo l’Authority, dovrebbero però venire 10 miliardi di utili che aiuterebbero ad ammortizzare le spese di decomissioning. Utili messi in dubbio da Greenpeace che mette in evidenza i diversi problemi che hanno tenuto a lungo ferme le due maggiori centrali inglesi per il riprocessamento del combustibile.
Secondo alcuni esperti – ha riportato John Sauven direttore di Greenpeace UK – il costo totale per il decomissionamento sarebbe di oltre 85 miliardi di sterline. “Una cifra a carico dei contribuenti pari a quella spesa per la missione lunare Apollo, solo che in questo caso non c’è niente da festeggiare”, ha commentato Sauven sul Guardian, e ha aggiunto: “le promesse del Governo che non ci saranno sussidi pubblici per il suo nuovo programma sul nucleare di fronte a queste cifre si dimostrano senza valore”.
La revisione delle stime, resa nota nei giorni scorsi, probabilmente non sarà definitiva, dato che si sta parlando di operazioni da svolgersi, come detto, nell’arco di almeno 130 anni.