Lotta al global warming, a tre mesi da Parigi cosa si sta facendo?

Quali effetti sta producendo l'accordo sul clima raggiunto alla CoP 21 di Parigi? È ancora presto per dirlo, ma dai principali attori arrivano alcuni segnali interessanti. Soprattutto dal più grande emettitore mondiale, la Cina, che sembra stia accelerendo rispetto agli impegni presi: è già oltre il target 2030?

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L’accordo di Parigi è stato sia ambizioso che molto poco concreto: su queste pagine abbiamo ospitato commenti ottimisti e altri più disillusi. Il testo uscito dalla CoP 21 punta fermare il riscaldamento globale “ben al di sotto dei 2°C” dai livelli preindustriali e prevede di “sforzarsi” a mantenerlo sotto gli 1,5°C (mentre oggi siamo già oltre 1°C). Ma gli impegni portati al tavolo dai Paesi sono ampiamente inadeguati –  porterebbe infatti a un riscaldamento di almeno 2,7 °C  – e   non sono vincolanti.

Un aspetto positivo e che sono previsti degli aggiornamenti – al rialzo – dei tagli delle emissioni promessi dalle varie Parti e in generale l’essere arrivati ad un accordo condiviso come quello approvato dovrebbe dare slancio alle politiche nazionali per la lotta ai cambiamenti climatici.

Per capire se ciò sta avvenendo andiamo a vedere, a tre mesi dalla conclusione della CoP parigina, cosa sta succedendo.

Il mondo

La buona notizia, confermata dagli ultimi dati IEA, è che le emissioni globali si sono stabilizzate: nel 2015 abbiamo emesso 35 miliardi di tonnellate di CO2, più o meno la stessa quantità che nel 2014 e poco più che nel 2013.

Questo ovviamente non è una conseguenza dell’esito della CoP 21, conclusasi a metà dicembre, ma mostra che l’economia mondiale si sta lentamente decarbonizzando: a differenza che in altri periodi in cui le emissioni non sono cresciute (ad esempio il 1992 e il 2009) questa è la prima volta che la quantità di gas serra emessi resta stabile mentre il Pil aumenta.

La cattiva notizia è che la febbre del pianeta continua a salire: il 2015 è stato l’anno più caldo da quando si registrano le temperature, gennaio 2016 il gennaio più caldo e febbraio 2016 non è stato da meno.

Gli Usa

Attore chiave della lotta al global warming, gli Stati Uniti in questi mesi si stanno impegnando per tagliare le emissioni, ma l’impegno della Casa Bianca si scontra con l’ostruzionismo dei repubblicani.

Obama con il Clean Power Plan (CPP)già prima della Conferenza di Parigi aveva messo in campo la legge perno per ridurre la CO2.  La legge, che sarà applicata dall’EPA, l’agenzia per l’ambiente americana, punta ad un taglio delle emissioni del settore elettrico del 32%, rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030.

Il Presidente era riuscito ad aggirare l’opposizione del Congresso a maggioranza repubblicana, ma a febbraio il Clean Power Plan è inciampato sulla Corte Costituzionale, che con 5 voti contro 4 ha deliberato di mettere la normativa in stand by, in attesa del pronunciamento della Corte d’Appello su un ricorso presentato da 29 Stati e decine di associazioni dell’industria elettrica e del carbone, secondo cui il provvedimento “espande illegalmente i poteri di regolazione del Governo federale”.

Sembra però improbabile che il congelamento temporaneo delle misure fermi i cambiamenti che hanno già innescato.

Uno dei giudici della Corte Costituzionale ostili al CPP, Antonin Scalia, nel frattempo è morto ed è stato sostituito dal centrista Merrick Garland, più ben disposto verso la nuova normativa, ma soprattutto, gli Usa si stanno già muovendo per adeguasi alle regole in arrivo.

Oltre 30 Stati e un numero rilevante di utility infatti stanno già lavorando per raggiungere gli standard imposti dal CPP. E anche Fitch, la nota società di rating, sottolinea come diverse compagnie elettriche abbiano già iniziato a spostare gli investimenti sulle fonti pulite, per adeguarsi alle nuove norme.

La Cina

Il gigante asiatico, primo emettitore al mondo, già nel cammino verso  Parigi aveva fatto uno scatto in avanti nella lotta al clima. Nel suo INDC – il piano di contrasto ai cambiamenti climatici che ogni Paese doveva sottoporre alle Nazioni Unite in vista della Cop 21 – presentato ad agosto,  Pechino annunciava che entro il 2030 vuole arrivare al 20% di energia da fonti “non-fossili” (leggasi rinnovabili e nucleare) sul totale dei consumi di energia primaria e che entro lo stesso anno inizierà a ridurre le emissioni, dopo aver ridotto l’intensità di carbonio (rapporto tra emissioni e Pil) del 60-65% rispetto ai livelli del 2005.

Cosa è successo dopo Parigi?

La Cina ha rivisto per l’ennesima volta al rialzo i suoi obiettivi sulle rinnovabili ed ha tirato il freno sul carbone.

Ma la cosa interessante è che – a quanto risulta da un nuovo studio del Grantham Institute – sembra che la Cina avesse già raggiunto il target che si è data per il 2030 un anno prima di annunciarlo, nel 2014.

Non sono chiare le implicazioni di questo anticipo sui tempi della decarbonizzazione cinese, ma è chiaro che la superpotenza, impegnata anche a ridurre un inquinamento atmosferico che le costa tantissimo, sta facendo più del previsto per tagliare la CO2.

L’Europa

Storica promotrice della lotta al riscaldamento globale, l’Unione europea negli ultimi anni ha perso la sua leadership. Sul nuovo pacchetto 2030 i Membri sono divisi, con una parte degli Stati che frena.

Secondo un’analisi pubblicata da Point Carbon Thomson Reuters (in allegato in basso) non sarebbe affatto scontato che l’UE riesca a raggiungere gli obiettivi prefissati.

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