Pompe di calore: quale scegliere, benefici e criticità

CATEGORIE:

L'interesse per le pompe di calore è alto, ma anche la confusione sulle tecnologie: quando è meglio optare per un'aria-acqua, un'aria-aria o per una geotermica? Meglio elettrica o a gas? Con il Politecnico di Milano esaminiamo punti di forza e di debolezza delle varie soluzioni, scoprendo errori nell'installazione, ma anche novità interessanti.

ADV
image_pdfimage_print

Nel mondo delle tecnologie per l’efficienza energetica stanno assumendo grande importanza le pompe di calore (Pdc). Per chi non ne conosca il funzionamento, si tratta di dispositivi che si potrebbero descrivere come ‘frigoriferi al contrario’, in cui un fluido a basso punto di ebollizione, che circola in un circuito, viene fatto evaporare per assorbire calore dall’ambiente esterno, e poi fatto tornare liquido, usando una fonte di energia esterna, in un condensatore posto all’interno di un serbatoio d’acqua, che così si scalda ricevendo il calore preso esternamente (Speciale di Qualenergia.it).

Le Pdc non creano energia, ma riescono a raccogliere il calore a bassa temperatura contenuto nell’ambiente con una resa (coefficient of performance, o Cop) molto alta. Per ogni kWh di energia consumata dal macchinario, si ottengono da 3 a 5 kWh di calore: anche se suona strano non c’è contraddizione con i principi della termodinamica; si spende infatti un po’ di energia “pregiata “, come elettricità o fiamme ad alta temperatura, per ricavare molto calore a bassa temperatura, il “due di coppe” della termodinamica.

Aggiungendo a questa loro caratteristica, quella di poter funzionare con la flessibile elettricità, che può provenire da fonti rinnovabili (magari anche prodotta in loco), e il fatto che, in Italia, grazie al conto termico o alle detrazioni fiscali, si riesce a recuperare l’investimento in un periodo fra 5 e 9 anni (vedi le nostre ultime simulazioni) ecco che questa tecnologia sta diventando una delle opzioni più amate da chi immagina o progetta la transizione verso sistemi energetici sostenibili. Anche se per ora rappresentano solo il 2% dei sistemi di riscaldamento, ci sono già 550.000 Pdc in funzione in Italia.

Ma se sulla carta le Pdc offrono molti vantaggi, come si comporta la tecnologia nel mondo reale? Per capirlo, e stimare quindi il valore economico e ambientale del loro uso, l’ingegnere Matteo Zanchi, sta portando avanti, con la collaborazione del Fraunhofer Institut for Solar Energy systems e i finanziamenti della Regione Lombardia, un progetto di ricerca che valuterà le prestazioni di 25 sistemi a Pdc, installati, grazie a finanziamenti regionali, in questi ultimi mesi in uffici pubblici e scuole lombarde. Oltre a questo esperimento sul campo, al Politecnico è anche partito il progetto Relab, un laboratorio dedicato per la verifica e certificazione di Pdc, condizionatori e  altre apparecchiature simili.

I primi risultati dalle ricerche arriveranno nell’estate del 2014 e saranno importanti per vedere quale tecnologia è la migliore e quale sia il modo migliore di installarla e utilizzarla. Anche individuando eventuali errori di installazione. Come quello scoperto da Zanchi e colleghi in una delle scuole monitorate, dove, per un errore di regolazione, la pompa che portava l’acqua dal pozzo alla PdC rimaneva inutilmente sempre in funzione, facendo sprecare una gran quantità di corrente.

Ma – chiediamo all’ingegnere – quali sono pregi e difetti delle principali soluzioni a Pdc? “Le Pdc più semplici da installare sono quelle aria-acqua, ma hanno il problema di estrarre calore da una sorgente, l’aria ambiente esterna, che ha temperatura variabile e può diventare molto fredda, peggiorando l’efficienza. Le Pdc acqua-acqua, prendono invece il calore da acqua di falda, per esempio tramite un pozzo, che resta a temperature abbastanza costante tutto l’anno, garantendo un buon COP. Ma non sempre c’è abbastanza acqua a disposizione, e comunque occorre pomparla dalla falda alla Pdc, con ulteriore consumo elettrico e manutenzione di pompa e filtri”.

“Le Pdc geotermiche, che prelevano il calore dal terreno attraverso sonde inserite in pozzi o scavi orizzontali, hanno un costo per kW superiore, ma anche un ottimo rendimento e quasi nessuna manutenzione. Occorre però stare attenti a non estrarre troppo calore dal terreno, soprattutto se asciutto e roccioso, perché se questo accade, ci vogliono poi anni per farlo tornare alle temperature ottimali. Per evitarlo basta però usare la PdC al contrario durante l’estate per rinfrescare gli ambienti, trasportandone il calore sotto terra e ripristinando la riserva termica. Questi tre tipi di pompe hanno uno svantaggio comune: funzionano con un buon rendimento solo all’interno di una differenza di temperatura fra sorgente esterna e serbatoio di 40-50°C circa, oltre l’efficienza precipita. Questo vuol dire che possono essere utilizzate quasi sempre solo accoppiate a sistemi di riscaldamento radianti a bassa temperatura, in quanto quelli a radiatore richiedono temperature più alte.

“C’è però un tipo di PdC, quelle ad assorbimento, meno usate in Italia, in cui è l’energia di un bruciatore a gas a far muovere il ciclo di espansione e condensazione del fluido di trasporto del calore – continua l’esperto – queste funzionano bene anche con sistemi di riscaldamento a temperature più elevate come i radiatori, ma sono meno efficienti quando usate per raffrescare d’estate”. Ma il metano è una risorsa fossile, questo non sminuisce un po’ il valore di sostenibilità di queste Pdc? “Si ha comunque un grosso guadagno di efficienza, sia rispetto all’uso diretto della fiamma in una caldaia che alla stessa conversione di combustibili fossili in elettricità in quelle centrali elettriche che forniscono ancora gran parte della nostra elettricità”, conclude Zanchi.

E ci potrebbe essere anche un altro modo per usare le Pdc, applicandole a quanto sperimentato all’estero, accoppiando solare termico e accumulo di calore. Ce ne parla l’ingegner Marco Calderoni, anche lui ricercatore del Politecnico di Milano: “Nel Nord e Centro Europa e in Canada da ormai molti anni si sta sperimentando in piccoli quartieri, l’accumulo del calore estivo in grandi vasche sotterranee termicamente isolate, contenenti acqua o acqua e ghiaia, o direttamente nel suolo profondo, riscaldandolo con decine di pozzi. Durante l’estate in questi accumulatori termici, viene fatta circolare acqua proveniente da pannelli solari, fino a portarli a circa 90°C. Durante l’inverno si preleva poi il calore per riscaldare direttamente le case. In questo modo, a seconda delle dimensioni dell’accumulo e del clima locale, si è riusciti a coprire il fabbisogno di riscaldamento per periodi variabili tra 3 mesi e l’intero inverno (qui un recente progetto canadese). E’ pensabile anche usare tecniche simili accoppiandole con Pdc, creando cioè con il calore estivo una sorgente artificiale a temperature molto più alte di quelle naturali, a cui far attingere le Pdc, riducendo drasticamente il loro consumo elettrico. Nei nostri climi, con inverni più miti ed estati più calde, sicuramente si potrebbero coprire percentuali del fabbisogno più elevati rispetto a quanto avviene nei paesi più freddi e a costi più vantaggiosi “. Forse anche questa sarebbe un’idea da sperimentare.

ADV
×