Energie pulite sotto assedio

Le rinnovabili elettriche, ma anche quelle termiche, stanno subendo da più fronti un attacco serrato che punta a bloccare una loro ulteriore espansione. Si accusano di pesare troppo sulle bollette, ma in realtà si teme la crescente competizione di nuovi attori, quei 3-4 milioni di cittadini e imprese che utilizzano energia da impianti fotovoltaici. Urgente una ristrutturazione del sistema elettrico.

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Come un lento brontolio di fondo che si allarga nello spazio, così l’attacco alle fonti rinnovabili acquista un vigore mai avuto. Il loro peccato è quello di essere cresciute troppo in fretta, in maniera scomposta e, soprattutto, di minacciare un’ulteriore espansione. L’aggressione riguarda sia le rinnovabili termiche che, in modo più acceso, le rinnovabili elettriche. Vanno crescendo le forze che ritengono che gli incentivi vadano drasticamente contenuti e che addirittura si debba intervenire con misure retroattive, un’azione incostituzionale che lederebbe la credibilità internazionale del nostro Paese.

Le motivazioni addotte sono due: un costo eccessivo delle bollette per gli utenti finali e l’impatto sui profitti delle aziende energetiche in difficoltà per il calo della domanda e per la competizione di nuovi attori, come i 3-4 milioni di cittadini e imprese che utilizzano energia dagli impianti fotovoltaici installati sui loro tetti.

Ecco dunque un crescendo di attacchi, partendo da articoli beceri e disinformati, passando dal pamphlet del presidente di Assoelettrica, Chicco Testa (cui ha validamente risposto l’e-book scaricabile gratuitamente “Rinnovabili: chi vuole uccidere la verità” di FREE), sino ad arrivare alle incredibili due pagine titolate “Sos Terra: dal fallimento del solare al clima che cambia” pubblicate sul Corriere il 5 giugno in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente, dove – oltre a parlare in maniera spudorata e faziosa dell’elettricità verde – si arriva a dire sul clima che «sul breve, un grado medio in più avrà probabilmente effetti benefici, almeno in alcune aree del mondo».

Anche le rinnovabili termiche sono sotto attacco. Dopo la pubblicazione del recente Decreto che dovrebbe favorire l’impiego delle biomasse, è stato pubblicato uno studio di Nomisma Energia nel quale vengono accusate del peggioramento della qualità dell’aria. Anche in questo caso si è trattato di un intervento a gamba tesa in malafede, visto che il provvedimento in questione consente di sostituire vecchie caldaie e camini a legna con impianti molto più efficienti e con prestazioni ambientali decisamente più elevate, andando quindi nella direzione di una decisa riduzione delle emissioni. Il fatto è che gli interessi delle aziende elettriche e del gas si sentono minacciati dai nuovi entranti. Tanto più in una fase di calo della domanda. Tutto ciò mentre il sostegno alle rinnovabili rimane altissimo. Secondo un recente sondaggio di Mannheimer l’89% degli italiani ritiene che la crescente produzione di energia da fonti rinnovabili sia segno di evoluzione del nostro Paese, e l’88% ritiene che questo fatto possa aiutare ad abbandonare l’impiego delle fonti fossili.

Rinnovabili superano il termoelettrico a maggio e a giugno

Il fotovoltaico nel bimestre aprile-maggio è arrivato a coprire il 9,7% della produzione elettrica nazionale. Ma un altro dato è forse più significativo. Lo scorso maggio la produzione elettrica da rinnovabili in Italia ha superato, con il 53%, quella termoelettrica convenzionale (anche a giugno le fonti pulite hanno superato il 50% della produzione, ndr). L’ultima volta che questo era successo, su base annua, era il lontano 1966; in tutti i decenni precedenti era stato l’idroelettrico a farla da padrone. Tutto fa pensare che i prossimi decenni rivedranno un dominio delle rinnovabili, con il fotovoltaico che a metà secolo potrebbe coprire il 50% della domanda. Questo spiega la reazione dei grandi media e degli attori del mondo del gas e della produzione elettrica. Esemplare nelle ultime settimane il dibattito sul pagamento degli oneri di rete che rischia di bloccare, ancora prima del suo inizio, la corsa del fotovoltaico che nei prossimi anni dovrà affrontare il mercato senza incentivi diretti.

Abbiamo più volte stigmatizzato negli anni passati le posizioni del Parlamento, del Governo e anche di alcune Associazioni del fotovoltaico nella gestione degli incentivi (esemplare l’errore del “Salva Alcoa”), derivate da una profonda incomprensione del ruolo strategico che avrebbe avuto il fotovoltaico. Per questo siamo convinti che ora si debba intervenire per gestire in modo intelligente un futuro completamente nuovo. Una revisione delle tariffe per eliminare voci non più giustificabili (gli oneri per le vecchie centrali idroelettriche cedute dalle ferrovie per esempio, un’accelerazione nella fuoriuscita dal Cip 6, una regolata agli incentivi per le isole minori che impediscono il decollo delle rinnovabili proprio nelle aree dove c’è più sole e vento, fino ad arrivare alla revisione della formazione del prezzo del kWh).

Ma è tutto il sistema elettrico, in crisi per overcapacity, ad avere bisogno di una ristrutturazione, eliminando 15-20 GW di centrali vecchie e inquinanti e salvaguardando gli impianti più efficienti in grado di dialogare con quelli a fonti rinnovabili. Alla rete e agli accumuli andrà data un’attenzione particolare, anche con interventi normativi forti, analoghi a quelli presi recentemente in Germania per accelerare il loro potenziamento e la trasformazione in smart grid.

In considerazione del fatto che ormai circa tre quarti della produzione elettrica nazionale provengono da metano o da fonti rinnovabili, ha senso spingere per le applicazioni elettriche che garantiscano per il Paese un risparmio netto in termini di energia primaria. Parliamo in particolare di alcune elettrotecnologie per l’industria, dell’impiego di pompe di calore ad alta efficienza, di veicoli elettrici e così via. In questo modo si riuscirebbe ad aumentare le ore di funzionamento delle centrali a ciclo combinato, attualmente in ginocchio, e si ridurrebbero le importazioni di energia.

E qui veniamo a un tema che deve essere ben presente nelle discussioni sui tagli degli incentivi. Ricordiamo che il saldo import-export nel settore energetico è stato nel 2012 pari a -63 miliardi di euro, mentre quello di tutti gli altri comparti ha raggiunto lo scorso anno un valore positivo pari a 74 miliardi di euro. Cioè le spese per la voce energia sono di poco inferiori al saldo netto con l’estero delle altre attività del Paese. L’incremento della quota di energia verde al 20% dei consumi energetici finali nel 2020 garantirà alla fine del decennio un risparmio di una decina di miliardi/anno. Adesso siamo circa a metà strada e lo sforzo fatto ci consente di risparmiare circa 5 miliardi/a; nei prossimi 7 anni il risparmio potrebbe raddoppiare.

Un calcolo simile può essere effettuato sul versante dell’efficienza energetica. L’obiettivo di una riduzione del 24% dei consumi rispetto all’andamento tendenziale al 2020 indicato nella SEN corrisponde a un minore esborso di una quindicina di miliardi. Depurato dagli effetti della crisi, possiamo considerare un taglio di 10 miliardi/a. Alla fine di questo decennio, cioè, l’adozione di politiche di supporto all’efficienza e alle rinnovabili dovrebbe consentire al Paese di risparmiare annualmente circa 20 miliardi per minori importazioni di petrolio, gas e carbone.

Questa riflessione riguarda solo gli aspetti economici, ma ad essi vanno aggiunti gli elementi di maggiore sicurezza energetica, minori impatti ambientali e aumento occupazionale connessi all’utilizzo delle risorse rinnovabili del Paese.

Naturalmente, per avere un quadro completo vanno considerati anche gli impatti sulle bollette destinate ormai a incrementi limitati, e i bilanci import-export delle tecnologie che consentono di utilizzare in maniera efficiente l’energia o di trasformare le fonti pulite. Alcune tecnologie vengono esportate, ma per molte altre l’Italia è un importatore netto. Questo è anche il risultato di una politica industriale dei passati Governi poco attenta all’innovazione (con qualche eccezione, come il programma “Industria 2015” rapidamente soffocato).

E veniamo alle rinnovabili termiche, il gigante addormentato che nei prossimi anni potrà svilupparsi con costi limitati e notevoli ricadute occupazionali (si pensi solo al potenziamento della cura dei boschi per ricavare biomassa). Si tratta di un comparto che vede, tra l’altro, una buona presenza dell’industria nazionale che potrà espandersi con prodotti a elevata efficienza e basso impatto ambientale, garantendo fatturato e posti di lavoro.

In conclusione, le politiche energetiche andranno affrontate con intelligenza considerando che questo comparto sta attraversando – in Italia, come a livello internazionale – una fase di profonda trasformazione (il 70% della nuova potenza elettrica che verrà installata nel mondo entro il 2030 sarà alimentata da fonti rinnovabili, secondo Bloomberg). Nelle prossime scelte del Parlamento e del Governo andranno privilegiate le soluzioni in grado di dare ricadute occupazionali e ridurre le importazioni di combustibili fossili. Le associazioni dell’efficienza energetica e delle rinnovabili, riunitesi nel Coordinamento FREE, hanno avviato un confronto con i Ministri, con l’Autorità per l’Energia, con i Sindacati e con le Associazioni dei consumatori per stimolare l’avvio di politiche virtuose che tengano conto della complessità del sistema energetico e della sua necessaria evoluzione.

Dall’Europa buoni segnali e scricchiolii

In realtà, anche a livello europeo spira un’aria non proprio rassicurante. Il documento “Energy challenges and policy”, predisposto per il Consiglio Europeo del 22 maggio, parte dalla constatazione della difficoltà delle imprese europee rispetto a quelle statunitensi, che godono di prezzi del gas molto inferiori grazie agli effetti negli ultimi anni della produzione di gas da fracking. Date queste premesse, il documento apre all’introduzione del fracking anche in Europa, pone l’accento sulla competitività e sui prezzi dell’energia, mentre si avverte una minore attenzione sulle questioni climatiche. Per quanto riguarda la tecnica del fracking, è impensabile la riproposizione in Europa del successo americano. Il contesto territoriale, geologico e la densità abitativa sono infatti molto differenti e già sono scattate mobilitazioni contro un processo che presenta notevoli implicazioni ambientali.

L’impatto immediato della rivoluzione statunitense dello shale gas è però, paradossalmente, di segno completamente diverso per l’Europa. Il calo del prezzo del metano oltreoceano e le nuove regole per le inquinanti centrali a carbone Usa stanno infatti inducendo un forte cambiamento del mix di combustibili nella generazione elettrica. Nel 2012 la produzione dalle centrali a carbone statunitensi è calata dell’11,6%, sostituita da una maggiore produzione da gas. Di conseguenza grandi quantità di carbone a basso costo si sono riversate dalle miniere statunitensi in Europa, dove l’inceppamento del mercato dell’Emissions Trading ha messo fuori gioco i cicli combinati a gas. Questo spiega come in Germania, accanto a una forte crescita delle rinnovabili, si sia registrato anche un incremento dell’uso del carbone. Ma, grazie al boom fotovoltaico, la chiusura parziale del nucleare non si è avvertita, anzi le esportazioni elettriche sono aumentate.

Tornando alle inquietudini europee. Una partita importante è quella sugli obiettivi al 2030. Sulla necessità di un nuovo target per le emissioni climalteranti c’è un accordo generalizzato. Ma è altrettanto importante definire obiettivi per le rinnovabili e per l’efficienza. Lo scorso 21 maggio il Parlamento Europeo ha approvato una mozione che invita a definire anche un target per le rinnovabili superiore alla soglia del 30%. Contro questa posizione si è espresso il Regno Unito. Anche la SEN spinge per la neutralità delle soluzioni al fine di raggiungere l’obiettivo del taglio delle emissioni. È auspicabile però che la posizione ufficiale dell’Italia si allinei a quella degli altri Paesi e dell’Europarlamento. Ricordiamo che è stata proprio la definizione di obiettivi ambiziosi al 2020 a imporre quell’accelerazione dell’uso dell’eolico e del fotovoltaico in Europa che ha portato a un crollo dei prezzi e quindi alla possibilità di un loro impiego in tutto il mondo.

L’articolo è stato pubblicato sul n.3/2013 della rivista bimestrale QualEnergia.

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