Idee e ricette sull’energia per il Governo Letta

La tematica energetica è una delle più delicate che il nuovo Governo dovrà affrontare. L'azione dovrà essere orientata a un rilancio dell’occupazione, dare respiro alle imprese, ridurre le bollette dei cittadini, limitare l’import: ristrutturazione del sistema elettrico in overcapacity, regole per FV e rinnovabili elettriche, sviluppo delle termiche e dell'efficienza energetica, soprattutto in edilizia. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Facciamo i nostri migliori auguri a Flavio Zanonato e Andrea Orlando, i due nuovi ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente perché la tematica energetica sarà una delle più delicate che dovranno affrontare. Se gestita bene potrà dare un contributo molto importante nel rilanciare l’occupazione, dare respiro alle imprese, ridurre le bollette dei cittadini, limitare l’esborso per l’import del paese. Cioè svolgere quel ruolo anticiclico che è decisivo in questa fase. 

Cominciamo dalla bilancia dei pagamenti per capire la valenza di questa voce, non a tutti nota. Il saldo import-export nel settore energetico è stato nel 2012 pari a -63 miliardi €, mentre quello di tutti gli altri comparti ha raggiunto lo scorso anno un valore positivo pari a 74 miliardi €. Cioè le spese per la voce energia sono di poco inferiori al saldo netto con l’estero delle altre attività del paese.

Un dato che spiega l’importanza strategica delle politiche di efficienza energetica e di sviluppo delle rinnovabili. Incrementare, come previsto, la quota di energia verde dal 5% dei consumi energetici finali nel 2005 al 20% nel 2020 significa alla fine del decennio garantire un risparmio di una decina di miliardi all’anno.  Adesso siamo circa a metà strada e lo sforzo fatto ci consente di risparmiare circa 5 miliardi/anno; nei prossimi 7 anni il risparmio potrebbe raddoppiare. 

Un calcolo simile può essere effettuato sul versante dell’efficienza energetica. L’obiettivo di una riduzione del 24% dei consumi rispetto all’andamento tendenziale al 2020 indicato nella SEN (che peraltro meriterebbe una seria rivisitazione) corrisponde ad un minore esborso di una quindicina di miliardi. Depurato dagli effetti della crisi, possiamo considerare un taglio di 10 miliardi.

Alla fine di questo decennio, cioè, l’adozione di politiche di supporto all’efficienza e alle rinnovabili dovrebbe consentire al paese di risparmiare annualmente circa 20 miliardi per minori importazioni di petrolio, gas e carbone (la cifra finale dipenderà dalle politiche adottate, dall’evoluzione delle quotazioni dei combustibili fossili e dall’andamento del rapporto €/$).

Questa riflessione riguarda solo gli aspetti economici, ma ad essi vanno aggiunti gli elementi di maggiore sicurezza energetica, minori impatti ambientali e aumento occupazionale connessi all’utilizzo delle risorse rinnovabili del paese. 

Naturalmente, per avere un quadro completo vanno considerati anche gli impatti sulle bollette, cresciuti in parte per incentivazioni mal governate, ma destinate ormai ad incrementi limitati, e i bilanci import-export delle tecnologie che consentono di utilizzare in maniera efficiente l’energia o di trasformare le fonti pulite. Alcune tecnologie vengono esportate, ma per molte altre l’Italia è un importatore netto. Questo è anche il risultato di una politica industriale poco attenta all’innovazione dei passati governi (con qualche eccezione, come il programma “Industria 2015” rapidamente soffocato). 

Il caso più clamoroso di import è rappresentato dal fotovoltaico, comparto che negli ultimi anni ha resistrato dal 40 al 60% degli investimenti andare all’estero. Proprio questa tecnologia è però ora vicina alla competitività. Secondo il principale gruppo bancario svizzero UBS (vedi QualEnergia.it) , in Italia al 2020 potrebbero essere installati 8,5 GW non incentivati. Con quali vantaggi? Ai 3 miliardi che rientrerebbero allo Stato sotto forma di Iva ed extra entrate fiscali vanno aggiunti i  12 miliardi legati alle minori importazioni di metano nell’arco di vita degli impianti solari. E nel prossimo decennio la crescita solare è destinata ad incrementare notevolmente il vantaggio per il paese.

Ci siamo soffermati sul fotovoltaico perché questo comparto ha bisogno di un’attenzione particolare, considerata la prossima fine del Quinto Conto: l’evoluzione senza incentivi diretti non è infatti automatica, ma ha bisogno di rapidi interventi sul regime autorizzativo e regolatorio.

Una decisa messa a punto andrà prevista anche per le altre rinnovabili elettriche, in sofferenza, per consentire una loro diffusione con incentivi limitati e un ridotto iter burocratico.

Ovviamente, è tutto il sistema elettrico, in crisi per overcapacity, ad avere bisogno di una ristrutturazione, eliminando 15-20 GW di centrali vecchie e inquinanti e salvaguardando gli impianti più efficienti in grado di dialogare con gli impianti a fonti rinnovabili destinati entro una ventina d’anni a coprire la metà della produzione elettrica. Alla rete e agli accumuli andrà data un’attenzione particolare, anche con interventi normativi forti, analoghi a quelli presi in Germania in questi giorni per accelerare il loro potenziamento e la trasformazione in smart grids.

Prima di passare al comparto delle rinnovabili termiche, il gigante addormentato, ricordiamo ai ministri che hanno sui loro tavoli, pronto per la firma, il decreto per fare decollare anche in Italia il biometano, importante risorsa nazionale in grado di colorare di verde i trasporti (vedi QualEnergia.it, Il giacimento tappato del biometano).

La produzione rinnovabile di caldo e freddo è molto promettente e nei prossimi anni potrà svilupparsi con costi limitati e notevoli ricadute occupazionali (si pensi solo al potenziamento della cura dei boschi per ricavare biomassa). Si tratta di un comparto che vede tra l’altro una buona presenza dell’industria nazionale che potrà espandersi con prodotti ad elevata efficienza e basso impatto ambientale garantendo fatturato e posti di lavoro.

Parliamo poi delle politiche sull’efficienza energetica che, dal punto di vista dell’importanza strategica , dovrebbero essere le prime ad essere considerate. Un settore decisivo sul quale concentrare l’azione riguarda l’edilizia, visto che la metà delle nostre case consuma mediamente il triplo rispetto alle nuove costruite in modo efficiente.

Oltre a prevedere la continuazione delle detrazioni fiscali del 55%, occorrerà trovare soluzioni nuove per ampliare la platea dei soggetti fruitori, estendere la riqualificazione agli interi edifici e superare la barriera degli investimenti iniziali attingendo al capitale privato. Per fare ciò si potrebbe avviare un percorso virtuoso basato sull’utilizzo di risorse prevalentemente private che alimentano un fondo di rotazione, garantito dalla Cassa Depositi e Prestiti, a cui possano attingere aziende preventivamente qualificate. Parte dei risparmi delle bollette ottenuti grazie agli interventi di riqualificazione rimpinguerebbero il fondo.

Proprio su queste basi è organizzato il Green Deal inglese, partito lo scorso febbraio nell’ambito di un ambizioso programma per riqualificare energeticamente 14 milioni di appartamenti entro il 2020 (QualEnergia.it, L’idea britannica per l’efficienza in edilizia senza far spendere i cittadini).

In conclusione, le politiche energetiche andranno affrontate con intelligenza considerando che questo comparto sta attraversando in Italia come a livello internazionale una fase di profonda trasformazione (il 70% della nuova potenza elettrica che verrà installata nel mondo entro il 2030 sarà alimentata da fonti rinnovabili, secondo Bloomberg).

Andranno privilegiate le soluzioni in grado di dare ricadute occupazionali e ridurre le importazioni di combustibili fossili. Le associazioni dell’efficienza energetica e delle rinnovabili, riunitesi nel Coordinamento FREE, sono disponibili ad un confronto per l’avvio di politiche virtuose che tengano conto della complessità del sistema energetico e della necessaria sua evoluzione.

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