Le tante incognite dello shale gas britannico

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La Gran Bretagna ha deciso di proseguire sulla controversa strada del gas da scisti, nella speranza che questa fonte possa contribuire ad alleviare i problemi di sicurezza energetica del Paese e funga da ponte verso la decarbonizzazione. Ma il potenziale è incerto e le controindicazioni per ambiente e clima sono troppe.

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La Gran Bretagna ha deciso di proseguire sulla controversa strada dello shale gas. Giovedì scorso Ed Davey, il segretatio del DECC, il dipartimento per il clima e l’energia, ha dato il benestare per continuare le esplorazioni, nonostante i pozzi nel Lancashire di Cuadrilla Resources, piccola compagnia che sta esplorando le potenzialità del gas da scisti in Gran Bretagna, sembra abbiano già causato due terremoti di lieve entità.

Il Paese è diviso tra chi pensa ai benefici economici che lo shale gas potrebbe portare alla nazione e chi teme per le conseguenza ambientali che potrebbe provocare. I primi, tra cui Davey e il Cancelliere dello Scacchiere (cioè ministro delle Finanze) George Osborne, guardano alla “rivoluzione” che il gas da scisti ha portato negli Usa: lì quest’anno il prezzo del gas è sceso dell’85% rispetto ai massimi raggiunti nel 2005 e al momento costa circa la metà che nel Regno Unito.

Con i giacimenti del Mare del Nord che si esauriranno presto, le ‘pensionande’ centrali nucleari che si stenta a rimpiazzare e il carbone che si vorrebbe abbandonare, è chiaro come lo shale gas faccia gola alla Gran Bretagna che teme un “energy crunch”. Nelle parole di Davey, “Il gas da scisti potrebbe contribuire significativamente alla nostra sicurezza energetica, permettendoci di ridurre le importazioni di gas fino a quando non si passerà a un’economia low-carbon. Sostituirebbe l’import, che sta aumentando con il diminuire della produzione di gas dal Mare del Nord”.

Secondo le stime di Cuadrilla, sotto al suolo britannico ci sarebbero riserve per 5.600 miliardi di metri cubi di shale gas; secondo British Geological Survey 4.200, ma le stime sono veramente difficili. Quel che è sicuro è che il Paese non ha le stesse potenzialità di sviluppo per questa fonte che ci sono negli Usa: le conformazioni geologiche sono diverse, c’è una legge meno favorevole sul diritto di superficie, ma soprattutto si ha una densità abitativa altissima. Un notevole ostacolo, se si pensa che solo per rimpiazzare il declino produttivo dei giacimenti del Mare del Nord si dovrebbero fare circa 2.400 trivellazioni, stima di Bloomberg New Energy Finance.

Ecco dunque perché in realtà anche lo stesso Davey è prudente e ammette che il fracking potrebbe non mantenere le promesse: “Fino a che non si sarà proceduto con le esplorazioni e non saranno in produzione un numero rilevante di pozzi non sarà possibile avere nessuna stima significativa delle riserve economicamente sfruttabili del Regno Unito”.

A questo si aggiunga la forte opposizione sociale a questo metodo estrattivo: anche se il governo di Londra assicura che ci sarà un severo controllo delle attività, le controindicazioni dello shale gas sono numeorse (Qualenergia.it, Gas non convenzionale, tra prospettive e criticità, Shale gas, impatti ambientali e riserve mondiali e altri articoli): oltre ai già citati micro-sismi, questa tecnica può portare alla contaminazione delle falde acquifere e restano dubbi e preoccupazioni sulle sostanze chimiche che vengono “sparate” nella roccia durante la fratturazione. Non è un caso che la Francia, che avrebbe risorse ben più importanti di quelle britanniche, abbia di recente riconfermato la moratoria su questa modalità di estrazione, sulla quale mettono in guardia anche un recente studio del governo tedesco e un altro di un anno fa del Parlamento europeo.

Oltre a tutto, c’è poi la questione delle emissioni: prolungando la dipendenza dalle fonti fossili e da estrazione e combustione del gas da scisti si continuerà a produrre importanti quantità di gas serra. Il Tyndall Centre for Climate Change Research a tal proposito è drastico: “Se il Governo britannico vuole rispettare gli accordi presi a Copenhagen e il suo stesso piano per la transizione al low-carbon, lo shale gas non ha nessun potenziale significativo nemmeno come fonte di transizione”.

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