Le nostre troppe centrali elettriche. E la SEN non ne parla

  • 13 Dicembre 2012

In Italia abbiamo troppa elettricità: centrali termoelettriche per 78mila MW di potenza a cui dobbiamo aggiungere almeno 45mila MW da rinnovabili a fronte di una richiesta che non va oltre i 57mila MWh. Eppure si continua a costruire e autorizzare centrali inquinanti, un problema che la SEN trascura. La visione di Legambiente.

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Un tema su cui la Strategia Energetica Nazionale (SEN) “sorvola” sono i costi per il sistema legati ai problemi degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti fossili. Dal 2002 a oggi l’entrata in funzione di nuove centrali a gas e la riconversione di centrali da olio combustibile a carbone ha portato, secondo i dati di Terna, il totale di centrali termoelettriche installate a 78mila MW di potenza, a cui dobbiamo aggiungere almeno 45mila MW da fonti rinnovabili. Se consideriamo che il record assoluto di richiesta alla rete in Italia è di 56.822 MW, si comprende come il tema della sicurezza e, quindi, della necessità di realizzare nuove centrali, oggi in Italia non esista.

Eppure le centrali in fase di realizzazione sono 6 per 3.543 MW, secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico. Quelle in corso di autorizzazione addirittura 38 tra gas, metano, carbone, per 23.990 MW. Per quanto riguarda quelle più inquinanti e climalteranti, a carbone, sono in discussione tra riconversioni e nuovi progetti oltre 5mila MW, da Porto Tolle a Saline Ioniche, a Rossano.

La SEN giustifica questa omissione con la tesi che in un mercato libero non è la politica a dover decidere quante centrali realizzare e dove. Ma invece la SEN se ne dovrebbe occupare, perché è interesse del nostro Paese quello di ridurre le emissioni di gas serra, nell’ambito della strategia europea, e di ridurre i costi delle bollette. E proprio la sovrabbondanza di centrali fossili già oggi comporta effetti rilevanti in termini di costi per aziende e cittadini. La ragione, ovvia, è legata proprio agli investimenti fatti in centrali che “lavorano” meno ore di quanto programmato. Con la conseguenza che le aziende hanno interesse a non far diminuire i prezzi per rientrare degli investimenti.

Inoltre, il contributo sempre più rilevante portato dalle fonti rinnovabili (ma con problemi nel dispacciamento per l’inadeguatezza delle reti in alcune Regioni e con un andamento in larga parte discontinuo), associato alla riduzione dei consumi, sta generando contraccolpi sul sistema e in particolare su impianti da fonti fossili che vengono usati progressivamente meno ma che potrebbero servire come riserva.

Questa situazione può essere gestita in due modi, come sta facendo la Germania che punta a investire sulle reti (per spostare l’energia prodotta da rinnovabili verso i luoghi dove è maggiore la domanda), sullo stoccaggio (per immagazzinarla) e poi su un sistema di remunerazione per le centrali che svolgono un ruolo di riserva. Oppure, come in Italia, dove si subisce la pressione delle lobby e quindi assistiamo a ritardi negli interventi sulle reti (in particolare su quelle di distribuzione) e non vi è alcuna politica che aiuti sul serio lo stoccaggio (e perfino gli interventi di Terna sono stati limitati).

Senza considerare che lo scorso luglio nel Decreto Sviluppo sono stati introdotti, con il parere favorevole del Governo, sussidi per vecchie centrali a petrolio che verranno presi direttamente dalle bollette delle famiglie. Una decisione presa per prevenire le “situazioni di emergenza gas”, per cui l’Autorità per l’Energia dovrà stabilire le modalità per il riconoscimento dei costi sostenuti in ciascun anno termico. Per offrire altri “aiuti” a queste centrali vecchie e inquinanti, spesso posizionate in zone abitate, sono previste “deroghe alla normativa sulle emissioni in atmosfera o alla qualità dei combustibili” e le centrali “sono esentate dall’attuazione degli autocontrolli previsti nei piani di monitoraggio, con deroga alle prescrizioni nelle autorizzazioni integrate ambientali”, addirittura superando “gli obblighi relativi alla presentazione di piani di dismissione”.

In pratica, gli impianti potranno funzionare al di fuori di qualsiasi controllo ambientale, in una situazione di autentico far west normativo, con un guadagno sicuro. Un provvedimento che affronta una questione vera, la sicurezza nella gestione di reti e impianti, ma che sembra scritto sotto dettatura delle lobby delle centrali più inquinanti.

Legambiente ritiene necessaria una decisione per remunerare questa “riserva di capacità”, ma chiede un sistema che premi le centrali più efficienti, mentre quelle a olio combustibile devono, afferma l’associazione, chiudere per sempre. Una scelta nell’interesse del clima, dei cittadini che respirano aria inquinata, dei consumatori. Occorre che l’Autorità per l’Energia faccia proposte in questo senso e si metta a vigilare sul serio per garantire che la concorrenza contribuisca a ridurre i prezzi. A dieci anni dall’approvazione del Decreto “Sblocca centrali” è diventato infatti indispensabile aprire un confronto sui risultati prodotti. In primo luogo per capire quale strada occorra intraprendere per il futuro, ma anche per verificare la distanza tra promesse e risultati. Se si ripercorre la cronaca degli ultimi dieci anni è impressionante l’enfasi che fu posta, soprattutto da Confindustria, sulla necessità di costruire nuove grandi centrali perché – veniva sostenuto – solo così si sarebbe potuto muovere la concorrenza, abbassare finalmente i prezzi dell’energia, rendere sicuro il Paese.

(dal documento di Legambiente sulla Strategia Energetica Nazionale)

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