Aziende mai così preoccupate per energia, clima e risorse

Le aziende sono sempre più preoccupate per la questione energetica. Lo dice l'ultima indagine di PricewaterhouseCoopers. Anche clima e materie prime tra i rischi più temuti. Il flop di Doha lascia il vuoto su un indirizzo di lungo termine necessario per programmre gli investimenti necessari ad affrontare le crisi energetiche e climatiche.

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Mai come ora, almeno negli ultimi 3 anni, le aziende erano state tanto preoccupate per i prezzi dell’energia e delle materie prime e questo nonostante una crisi economica che fa rivedere al ribasso anche i tassi di crescita dei Paesi più vitali, cioè quelli definiti emergenti. Lo si scopre sfogliando l’indagine che PricewaterhouseCoopers (PwC) ha condotto tra 800 amministratori delegati di altrettante aziende in tutto il mondo allo scopo di sondare la loro visone dell’economia mondiale (allegato in basso e sito PwC qui).

Più della metà degli intervistati cita i costi di energia e materie prime tra le minacce principali per la crescita dei loro business. Incredibilmente la preoccupazione per la scarsità di risorse ed energia supera quella per gli scarsi consumi provocati dalla crisi: nell’edizione di quest’anno del report tocca il 53% degli intervistati, in crescita di 7 punti percentuali rispetto al 2011.

Questo a livello generale. Ma se poi si vanno a vedere in singoli settori produttivi, la questione energetica e delle materie prime ovviamente è ancora più centrale. Per esempio nella siderurgia il costo dell’energia è visto come la minaccia principale alla crescita per il 75% degli intervistati; in questo caso l’80% si sta muovendo per contenere la bolletta, il 77% per migliorare l’efficienza e ridurre le emissioni e il 72% per assicurarsi in futuro l’accesso alle materie prime a prezzi sostenibili.

Ovviamente accesso a energia e risorse sono un problema maggiore quanto più si cresce ed è chiaro dunque perché la questione sia più sentita tra i CEO di aziende dei Paesi emergenti come quelli asiatici o africani, ma la preoccupazione è molto diffusa anche in occidente: un quarto degli amministratori delegati europei intervistati (di tutti i settori) vedono come una grande criticità l’aspetto energetico e dell’accesso alle risorse.

Anche il rischio climatico e di altri eventi naturali è un elemento sempre più importante nelle decisioni delle strategie aziendali: in Europa un terzo degli intervistati teme gli effetti negativi dei disastri naturali e dei fenomeni metereologici estremi sulla propria attività. Il 47% dei CEO intervistati dichiara che nell’anno a venire investirà di più per ridurre l’impronta ambientale dell’azienda.

“Con una situazione che mette sempre di più in dubbio la crescita, le aziende non possono permettersi shock di prezzi per l’approvvigionamento di energie e risorse, per cui non sorprende che questi aspetti salgano nella lista dei rischi temuti”, spiega Richard Gledhill di PwC . Nonostante la crisi e il boom dello shale gas Usa, aggiunge, infatti il trend sul lungo termine per i prezzi dell’energia continua a essere ascendente a causa della domanda in aumento da parte dei Paesi emergenti e per via delle regolamentazioni.

Stesso discorso per molte materie prime: la domanda dai mercati emergenti ha tenuto alta la pressione sui prezzi delle commodity ed eventi metereologici estremi e altri disastri naturali hanno esasperato la volatilità dei prezzi e l’insicurezza degli approvvigionamenti, specie per i prodotti agricoli.

Una situazione che le aziende dovranno affrontare con nuovi strumenti e più preparazione. Con il fallimento registrato a Doha in materia di lotta al global warming, commentano da PwC, difficilmente le imprese potranno contare su un intervento pubblico che prevenga i crescenti rischi ambientali e dunque dovranno muoversi da sole per costruirsi una certa ‘resilienza’ operativa.

Altro grosso vuoto che il flop di Doha lascia è quello sulla certezza normativa: con un accordo rinviato e ancora tutto da definire, al business manca quell’indirizzo sul lungo termine che sarebbe necessario per permettere loro di mettere in atto già adesso gli investimenti che sarebbero necessari sia per ridurre le emissioni per minimizzare i rischi climatici, sia per renderle più resilienti ai probabili futuri shock energetici.

Il report di Pricewaterhouse Cooper (pdf)

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