Anti-dumping sul fotovoltaico cinese, via ad altra indagine UE

Continua l'escalation della guerra commerciale mondiale del fotovoltaico. Nei giorni scorsi abbiamo dato la notizia delle indagini cinesi contro gli aiuti europei e italiani. Ieri la camera di commercio USA ha confermato – retroattività inclusa - le tariffe anti-dumping sul fotovoltaico cinese. Oggi la UE dà inizio a un nuovo procedimento.

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In un contesto di overcapacity, con le industrie che si combattono a colpi di prezzi ribassati e con il 60% che rischia di morire nel giro di 3 anni, continua l’escalation della guerra commericiale mondiale del fotovoltaico. Nei giorni scorsi abbiamo dato la notizia delle indagini cinesi contro gli aiuti europei e in particolare contro il premio “Made in Europe” italiano. Ieri la Camera di Commercio USA ha confermato definitivamente – retroattività inclusa –  le tariffe anti-dumping sul fotovoltaico cinese. Oggi la UE dà inizio a un nuovo procedimento antisovvenzioni relativo alle importazioni di moduli celle e wafer made in China, un’indagine che segue quella antidumping già avviata a inizio settmbre.

La nuova indagine nasce da una denuncia della solita coalizione protezionista guidata da Solarwold, EU ProSun, secondo la quale le importazioni di tali moduli dalla Cina sarebbero oggetto di sovvenzioni e arrecherebbero  un grave pregiudizio all’industria comunitaria. Oggetto dell’inchiesta – come nel procedimento antidumping – moduli, celle e wafer in silicio cristallino: esclusi dunque  i prodotti fotovoltaici a film sottile, oltre ad altri oggetti fotovoltaici minori tipo i caricabatterie e simili.

Sotto accusa, come avvenuto negli USA, una serie di aiuti concessi dal Governo di Pechino all’industria nazionale. Diverse le misure messe in campo per aiutare le imprese di casa che secondo la denuncia sarebbero assimilabili a sovvenzioni: dalle linee di credito a tasso agevolato concesse da banche statali, ai programmi di sovvenzione del credito all’esportazione fino ai vari sgravi fiscali. Secondo EU ProSun  l’aumento delle importazioni cinesi in Europa, sia in termini assoluti che di quota di mercato, sarebbe diretta conseguenza di queste politiche, che consentono all’industria di cinese di abbassare i prezzi.

Tutte cose che l’inchiesta UE dovrà verificare. Se così fosse si valuteranno misure anti-dumping, quali evenutali dazi. L’investigazione durerà 13 mesi, ma dazi preventivi potrebbero essere disposti già dopo 9 mesi. Si tratta della più importante segnalazione di possibile dumping mai ricevuta dalla Commissione Europea: nel 2011 la Cina ha esportato verso la UE circa 21 miliardi di dollari di moduli e componenti FV.

Esulta ovviamente Milan Nitzschke, Presidente di EU ProSun, che dichiara: “La Commissione Europea oggi ha deciso di esaminare i molti modi in cui gli organi di governo centrali e locali della Repubblica Popolare Cinese elargiscono sussidi illegali ai loro produttori di energia solare. È significativo che questa buona notizia per la sopravvivenza dell’industria solare europea arrivi da Bruxelles un giorno dopo che l’amministrazione Obama ha inviato un chiaro segnale: gli Stati Uniti non tollereranno più la concorrenza solare sleale proveniente dalla Cina. A seguito delle numerose prove emerse dalle indagini degli Stati Uniti sulla colpevolezza della Cina nel concedere massicce sovvenzioni illegali, siamo fiduciosi che anche l’Unione Europea imporrà rapidamente ingenti tasse“.

Dello stesso avviso anche il Comitato IFI (Industrie Fotovoltaiche Italiane), l’associazione che raccoglie oltre l’80% dei produttori italiani di celle e moduli fotovoltaici e che, attraverso una larga partecipazione dei suoi membri, sostiene le azioni di EUProSun. Secondo Alessandro Cremonesi, presidente IFI, “l’ apertura di questa nuova indagine ci conferma che le tesi che da anni stiamo sostenendo con vigore in tutti gli ambiti istituzionali erano basate su solide verità: il mercato italiano del fotovoltaico è dopato da prezzi sul mercato che non sono reali, ma sono praticabili solo da chi può disporre di enormi interventi di sostegno finanziario e sgravi fiscali. Chiediamo, pertanto, alla Commissione di agire con urgenza e incisività per ristabilire nel minor tempo possibile la parità competitiva”.

Opposto, invece, il giudizio di Afase – Alliance for Affordable Solar Energy che chiede alla Commissione Europea di evitare di imporre dazi compensativi al fine di proteggere il futuro dell’industria europea del solare. “Gli eventuali dazi farebbero aumentare i prezzi per i prodotti solari, e quindi comprometterebbero gravemente l’industria solare europea, così come la competitività dell’energia solare stessa -, dice Thorsten Preugschas, Ad di Soventix, società tedesca di progettazione e sviluppo affiliata ad Afase -. Sarebbero le piccole e medie imprese in particolare a subire  gli effetti dei dazi punitivi. Migliaia di posti di lavoro nella UE sarebbero a rischio, a seguito di un vano tentativo di proteggere pochi produttori che rappresentano solo una piccola parte della catena del valore del solare”.

Il libero scambio – sostiene Afase in un comunicato – è la premessa per mantenere i prezzi dei prodotti solari accessibili, permettendo all’energia solare di diventare competitiva con le fonti di energia convenzionali. Con l’imposizione di dazi punitivi, tuttavia, la dipendenza della UE dai combustibili fossili potrebbe essere prolungata e il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione Europea potrebbe essere messo a rischio.
Non va dimenticato – conclude la nota – che l’intero settore solare, in Cina così come in Europa, ha sempre beneficiato di un qualche tipo di sostegno pubblico, dettato dall’obiettivo politico di promuovere le energie rinnovabili. Questo sostegno ha contribuito in modo significativo al fatto che il settore dell’industria solare figura tra i comparti più dinamici e in rapida crescita.

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