Obama vs Romney, il clima e l’energia nelle presidenziali Usa

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Quasi metà della nuova potenza elettrica USA del 2012 è venuta dalle rinnovabili e l'uragano Sandy ha riportato la questione clima nel dibattito delle presidenziali. Obama, al contrario di Romney, è un sostenitore delle rinnovabili, il secondo è decisamente più amico dei petrolieri, ma su molti argomenti come nucleare e carbone le posizioni sono simili.

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Alla vigilia delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti – complice anche l’uragano Sandy – qualcosa è cambiato rispetto al dibattito dei mesi scorsi che aveva visto ampiamente trascurate i temi di clima ed energia. Una svolta che dovrebbe avvantaggiare Obama, sicuramente il candidato più possibilista verso la transizione energetica. Una transizione che molto timidamente anche negli USA è già in corso: nei primi 9 mesi dell’anno le rinnovabili, ora al 14% del mix elettrico, hanno pesato per il 43,8% di tutta la nuova potenza elettrica installata, cresciuta del 29% rispetto all’anno precedente. Le fonti pulite hanno così superato il gas, altra fonte in grande espansione (36% della nuova potenza), il carbone (18%), il nucleare e il petrolio (rispettivamente 1% e 0,1% della nuova potenza). Secondo i dati della Ong Solar Foundation, nonostante la crisi il fotovoltaico nel 2012 ha creato in un anno quasi 14mila nuovi posti di lavoro: una crescita degli occupati del 13,2%, mentre nell’economia americana in generale l’occupazione è cresciuta in media del 2,3% e nel comparto delle fossili è calata del 3,77%.

Se Obama è sicuramente il candidato preferito da chi crede nelle rinnovabili e nella necessità di agire in fretta per limitare il global warming, in realtà però le posizioni dei due candidati sull’energia su diversi punti non sono così distanti (si veda anche Qualenergia.it, Obama vs Romney, le posizioni sull’energia).

L’aumento del prezzo del petrolio è l’arma più affilata che il candidato repubblicano Mitt Romney ha sfoderato nello sforzo per battere Barack Obama. Nell’ultimo anno i prezzi del carburante sono saliti a quote finora quasi sconosciute agli automobilisti americani, sfiorando la cifra record di 4 dollari al gallone. Argomento sensibile per una società basata sull’automobile e abituata a pagare poco la benzina. Naturale che Romney e i repubblicani prendessero la palla al balzo e utilizzassero l’aumento dei prezzi per attaccare la politica energetica del Presidente in carica: sarebbe, secondo la loro lettura, tutta colpa dei ripetuti tentativi di Obama di ridurre le trivellazioni sul suolo americano e di indebolire l’industria del petrolio privandola dei controversi sgravi fiscali di cui finora ha beneficiato. E non basta che le importazioni di petrolio siano ai livelli minimi degli ultimi venti anni: se di fronte ai proclami repubblicani il mondo ambientalista si indigna, per l’opinione pubblica non ancora schierata non è facile capire dove sia la verità, quando l’industria del petrolio investe milioni in spot anti-Obama. Infatti, secondo dati del Center for responsive politics, pubblicati su Opensecret.org, ammonterebbe a 2.170.985 dollari la cifra stanziata da gruppi petroliferi e del gas per sostenere la campagna elettorale di Romney. 

Per cercare di far luce sulle posizioni dei due contendenti, il sito di informazione scientifica Science Debate ha sottoposto a entrambi i candidati una lista di domande, elaborate con l’aiuto dei maggiori scienziati americani, che affrontano ogni aspetto delle questioni ambientali, dall’innovazione tecnologica alla gestione delle risorse idriche senza dimenticare, naturalmente, l’energia. Ciò che emerge dalle risposte chiarisce le differenze di vedute tra il Presidente democratico e il suo rivale repubblicano. Mentre, almeno in teoria, entrambi i candidati ammettono che il cambiamento climatico è reale, diversi sono l’approccio al problema e, soprattutto, le possibili soluzioni.

“Il cambiamento climatico è una delle questioni più importanti per questa generazione”, esordisce Barack Obama rispondendo alla domanda che cerca di chiarire quali politiche i due candidati abbiano in programma per combattere il climate change. Di contro, Romney, pur ammettendo che il mondo si sta riscaldando e che le attività umane contribuiscono a quel riscaldamento, ritiene che ci sia mancanza di consenso scientifico riguardo l’ampiezza del riscaldamento, la portata del contributo umano e la gravità del rischio. “In ultima analisi – afferma il repubblicano – la scienza offre un apporto alle decisioni politiche, ma non detta una specifica risposta politica”. E mentre Obama ricorda con orgoglio di avere proposto e fatto approvare misure contro il riscaldamento globale (l’istituzione di limiti di emissione per i veicoli, gli ingenti investimenti nelle energie pulite, la proposta di limiti alle centrali energetiche alimentate a fonti fossili), Romney sostiene che la risposta non debba è non possa prevedere costose misure che finirebbero per penalizzare l’economia americana e costringere l’industria a spostarsi verso Paesi con regolamentazioni più blande. “La realtà è che il problema si chiama global warming, non America warming”, dice Romney, sottolineando che le emissioni cinesi hanno superato quelle americane.

Ma quelle che per Romney sono limitazioni, per Obama sono opportunità: il Presidente – che sulla green economy aveva puntato grossa parte della sua prima campagna elettorale, quando i temi climatici erano sulla cresta dell’onda – ritiene che a guidare l’economia mondiale nei prossimi decenni sarà il Paese che riuscirà a diventare leader nelle tecnologie pulite. “È per questo – dice il Presidente in carica – che ho proposto un ambizioso Clean Energy Standard, per produrre l’80% della nostra elettricità da fonti come vento, sole, carbone pulito e gas naturale entro il 2035”. La politica energetica di Obama, nota come “all of the above”, prevede un mix di fonti che, se non esclude il petrolio e il carbone, cerca di limitarne l’uso a favore di rinnovabili e soprattutto gas naturale su cui la sua presidenza è fiera di aver ristabilito il primato internazionale degli USA.

Ma ai repubblicani non è andato giù il caso Solyndra, né la bocciatura del progetto dell’oleodotto Keystone che avrebbe dato una grossa spinta all’alleanza energetica (basata sullo sfruttamento delle sabbie bituminose) con il Canada. L’obbiettivo di Romney è quello di “far affermare l’America come superpotenza energetica del 21° secolo” e per farlo è necessario aumentare la produzione nazionale di energia, senza troppe distinzioni sul tipo di energia usata. È quella che Romney definisce una politica “senza rimpianti” che possa sì ridurre le emissioni ma, soprattutto, andare a beneficio degli USA, “indipendentemente dal fatto che il rischio del global warming si materializzi”.

Nei fatti, se entrambi i candidati sembrano a favore di una differenziazione delle fonti energetiche, è prevedibile che Obama possa, più di Romney, puntare a una relativa riduzione del ricorso al petrolio e al carbone (relativa perché nel 2010 gli USA hanno prodotto più petrolio di quanto non abbiano fatto nel 2003 e il Presidente in carica ha di recente dato il via libera alle trivellazioni nell’Artico). Mentre entrambi sembrano decisi a sfruttare al massimo le risorse di gas naturale e a non mettere in discussione la pratica del fracking.

Sul nucleare, che Obama ha più volte incluso nel novero delle energie pulite cui è necessario ricorrere per limitare il riscaldamento globale, i due candidati si dicono favorevoli, ma non entrano nei dettagli. L’impressione è che entrambi sappiano che questa forma di energia, che fornisce il 20% dell’elettricità americana, non sia destinata a crescere vistosamente nei prossimi anni: i costi elevati per l’apertura di nuove centrali e le preoccupazioni sulla sicurezza, seguite all’incidente di Fukushima, sono ostacoli non facili da superare.

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