Le biomasse tra grid parity e decreto elettriche

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Sul fronte termico le biomasse sono già convenienti senza incentivi e anche sull'elettrico spesso si è vicini alla grid parity. Quali sono le tecnologie più interessanti? E come sarà influenzato il settore dal decreto in arrivo? Ce lo spiega il Biomass Energy Report 2012 dell'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.

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Quali tipi di impianti a biomassa sono più redditizi? Che potenziale ha questa fonte variegata nella produzione di calore ed elettricità nel nostro Paese e, ancora, che impatto potranno avere i nuovi incentivi all’orizzonte? A queste e ad altre domande risponde l’ultimo Biomass Energy Report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, che sarà presentato domani ma che Qualenergia.it ha potuto sbirciare in anteprima.

Un settore fatto in gran parte di imprese e operatori italiani, anche se lo stesso non si può dire sempre per le biomasse, e che, si spiega, nel 2011 ha mostrato di muoversi a tre velocità: una crescita sostenuta nel caso del biogas agricolo (installazioni raddoppiate con 200 MW installati) ma anche per le caldaie a pellet (da qualche anno se ne montano circa 150.000 unità l’anno); una crescita appena accennata nel caso del teleriscaldamento e delle biomasse agroforestali; e una sostanziale stagnazione, per alcune tecnologie come inceneritori di RSU e impianti a oli vegetali (questi ultimi calati del 75% nelle installazioni).

A influenzare il tasso di crescita dei diversi segmenti delle biomasse, ovviamente, il rapporto costi-rendimenti. Per la produzione di calore si va da un LEC (levelized energy cost) minimo di 6 c€/kWh per le caldaie a biomassa a un massimo di 9 c€/kWh per le caldaie a pellet. Per produrre elettricità la tecnologia più conveniente sono le centrali a combustione da biomassa (esclusi gli impianti per il recupero energetico da RSU) e la più costosa quella degli impianti di pirolisi con oltre 14c€/kWh (qui una tabella con i LEC delle varie tecnologie).

La vicinanza con il livello di costo dell’energia dalla rete – la famosa grid parity – appare evidente ed è ulteriormente rafforzata nel caso in cui i costi di approvvigionamento della biomassa siano “trascurabili”. Come ben sappiamo però non basta la grid parity per far investire in una tecnologia: contano rendimento economico relativo, misurato in termini di IRR, e, specie in un periodo di crisi come questo, il tempo di pay back (PBT); infine pesano molto anche le difficoltà delle procedure autorizzative e del trovare il sito adeguato.

Tutti elementi considerati dall’analisi fatta nel report, da cui emergono le conclusioni sintetizzate in questa tabella:

Le tecnologie per produrre calore da biomassa, come si vede, sono già convenienti ora anche senza incentivi. Per la produzione elettrica invece la maggior parte delle tecnologie sono nell’area di “indifferenza”, ovvero diventano “interessanti” per l’investitore solo in presenza di condizioni ottimali per quanto riguarda gli aspetti autorizzativi e la disponibilità di biomassa.

E veniamo dunque al ruolo degli incentivi che, scrivono gli autori, dovrebbero “spostare dall’area di indifferenza all’area di convenienza la migliore soluzione tecnologica per ogni tipologia di investitore e/o quella che valorizzi primariamente gli impieghi della biomassa più facilmente reperibile su base territoriale”. Un compito che gli strumenti attuali – la tariffa omnicomprensiva e i Certificati Verdi per l’elelttrico e per la produzione termica, la detrazione fiscale del 55% e i Certificati Bianchi – secondo il report non stanno assolvendo.

Ci si potrà aspettare qualcosa di più dagli incentivi all’orizzonte? Per quel che riguarda la parte termica manca ancora il decreto attuativo (ma, aggiungiamo noi, stando alle bozze attuali non sembra siano in arrivo novità sostanziali). Per la parte elettrica, invece, il report può ipotizzare gli impatti che i nuovi incentivi potranno avere stando alla versione attuale del decreto sulle rinnovabili elettriche, che si discuterà mercoledì pomeriggio alla Conferenza Stato-Regioni

Riguardo al decreto il report prevede che il contingentamento previsto – che per il triennio 2013-2015 considera si possano installare solo 880 MW di nuova potenza incentivabile, contro i quasi 1.500 MW installati invece nel triennio 2009-2011 – costringerà il mercato a ridursi di oltre il 40%. “Un rimedio che, in buona sostanza, riduce l’ambito di sviluppo ai soli operatori che già dispongono della biomassa di input”.

Negativo anche il giudizio su altre novità come il registro (per impianti da 50 kW a 5 MW) e le aste al ribasso (per impianti sopra i 5 MW): non faranno che “appesantire l’effetto e il peso della burocrazia, incrementando l’incertezza e i costi nascosti dell’adozione delle tecnologie per la produzione di energia da biomassa”.

Il taglio delle tariffe poi, si osserva, va a colpire in particolare le taglie di impianto più grandi e in generale il biogas, “ossia (quasi fosse una punizione) proprio quegli investimenti sui quali si stavano concentrando gli interessi del mercato”.

Un taglio mediamente del 30%, e che – si spiega – è solo in parte mitigato dalla presenza di premi, questi sì volti in maniera virtuosa a incentivare le applicazioni cogenerative, l’efficientamento energetico dei processi e l’approvvigionamento locale della biomassa.

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