Fotovoltaico e amianto, un divorzio da evitare

Il premio per la sostituzione dell'amianto con il fotovoltaico, senza che lo Stato abbia sborsato un euro, finora ha portato a smaltire 13 milioni di metri quadri di eternit, evitando danni sanitari incalcolabili. Ora però stando allo schema governativo del quinto conto energia, nonostante i successi, questo strumento rischia di scomparire.

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La più grande campagna di smaltimento di amianto mai realizzata in Italia non è costata nulla allo Stato e ha prodotto, oltre al lavoro, un risparmio incalcolabile in termini di costi sanitari. Ora il Governo ha deciso che venga interrotta. Una decisione che non ci si aspetterebbe da un Esecutivo così attento ai bilanci economici. Stiamo parlando degli incentivi per la sostituzione di coperture in amianto con impianti fotovoltaici che – se non verranno accolte le richieste di Regioni e associazioni – il quinto conto energia minaccia di far scomparire.

Questo strumento – a costo zero per lo Stato, poiché finanziato con un prelievo dalla componente A3 della bolletta – in tre anni (al 31 dicembre 2012) ha permesso di smaltire 12.788.000 metri quadrati di Eternit: secondo i dati ancora parziali dei (pochi) censimenti regionali realizzati, si stima corrisponda a circa il 7-8% dei tetti in amianto del Paese. Nel solo 2011 si è smaltito più amianto che in tutti i vent’anni precedenti.

“In queste condizioni, e se non si stravolgesse l’impianto del premio incentivante, è assolutamente realistico pensare che il trend continui con questi numeri e si possa dare un contributo reale nei prossimi 4-5 anni per la soluzione definitiva dell’amianto presente nelle coperture”, spiega a Qualenergia.it Davide Sabbadin, coordinatore della campagna di promozione “EternitFree”, realizzata da AzzeroCO2 e Legambiente.

Con gli incentivi attuali, infatti, smaltire l’amianto sostituendolo con il fotovoltaico è decisamente un buon affare: grazie al premio di 5 centesimi a kWh previsto da quarto conto energia, a seconda dei casi, in un periodo tra i 10 e i 20 anni si rientra a pieno dell’investimento complessivo dell’impianto fotovoltaico, del rifacimento del tetto e dello smaltimento a norma di legge dell’Eternit.

Si capisce dunque come questo incentivo sia riuscito laddove altri strumenti hanno finora fallito. La legge che ha vietato l’uso dell’amianto prevedeva che entro 180 giorni dall’entrata in vigore della norma tutte le Regioni si dotassero di un piano di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati. Ma, come mostrano i dati raccolti da Legambiente, le bonifiche sono in forte ritardo. In alcune Regioni il piano non è operativo, in altre il censimento è ancora in corso. Nel Lazio per esempio solo il 4,5% del territorio è stato sottoposto a telerilevamento e i questionari di auto-censimento stanno avendo risultati pessimi (ha risposto solo il 5% degli interpellati, vedi documento, pdf).

In un contesto di difficoltà di bilancio per gli enti pubblici, inoltre, i contributi per lo smaltimento dell’amianto sono ormai scomparsi o comunque ridotti al minimo ed episodici: interventi in questo senso sono stati introdotti recentemente da alcune Regioni, come l’Emilia Romagna, ma hanno rappresentato episodi isolati e privi di una strategia nazionale.

Chiaro allora come l’incentivo per la sostituzione con il fotovoltaico sia diventato uno strumento centrale per affrontare un problema molto grave: come si legge nella recente sentenza (qui pdf) del tribunale di Torino, che ha chiarito le responsabilità di chi produceva il materiale, in Italia si calcola che nei prossimi 20 anni saranno 40mila le morti premature causate dall’Eternit. A 20 anni dalla legge del 1992 che lo metteva al bando, l’amianto è infatti ancora molto diffuso in Italia: 32 milioni di tonnellate di materiale contaminato sono sparsi per il Paese. E l’impatto sanitario sulla popolazione è pesante: ogni anno si registrano tra 2 mila e 4 mila morti a causa dell’esposizione professionale, ambientale e domestica.

Uno strumento, l’incentivo per la sostituzione con il FV, che, peraltro, sembra decisamente conveniente: non richiede finanziamenti statali e, a fronte dei quasi 13 milioni di metri quadri di Eternit smaltiti, il peso nelle bollette degli italiani è pari a circa 50 milioni l’anno per i prossimi 20 anni.

“Appare una cifra assolutamente ragionevole, se consideriamo la spesa sanitaria pubblica che tale investimento consentirà di risparmiare nel lungo periodo, in termini di prevenzione di asbestosi e tumori, in particolare quello alla pleura, e in considerazione dell’elevato numero di posti di lavoro che tale attività ha generato sul territorio in maniera diffusa, dato che la rimozione dell’amianto è un’attività labour intensive, sviluppata prevalentemente da piccole aziende edili che si sono in questo modo riciclate con investimenti in formazione e tecnologie e hanno così fatto fronte alla crisi del settore edilizio”, spiega Sabbadin.

E conclude: “A pochi mesi dalla sentenza di condanna in primo grado della dirigenza Eternit, proprietaria del famigerato impianto di produzione di Casale Monferrato, un segnale di stop a questo processo da parte del Governo sarebbe quanto mai inopportuno e incomprensibile.”

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