Le sfide per le rinnovabili in un sistema che cambia

Con gli attacchi alle rinnovabili si vuole fermare la generazione distribuita. Ora serve un'ottica di medio periodo. Siamo all’inizio di una profonda trasformazione del sistema energetico che, se gestita bene, porterà risultati positivi all’occupazione, all’ambiente e all’economia. L'editoriale di Gianni Silvestrini per la rivista QualEnergia.

ADV
image_pdfimage_print

Scarica versione dell’articolo in pdf

Il mondo italiano delle rinnovabili sta attraversando il momento più critico da quando è nato. La mancata uscita dei provvedimenti di attuazione del decreto legislativo 28/2011 per la produzione elettrica e termica, previsti per il mese di settembre dello scorso anno, ha provocato uno stato di fibrillazione tra le imprese coinvolte e in alcuni casi uno stallo delle attività, oltre a licenziamenti e chiusure. La diffusione semiclandestina delle prime bozze del quinto conto energia ha poi messo in stato di agitazione il comparto del fotovoltaico, una tecnologia che non era inclusa nei decreti precedenti. Anche sul versante dell’efficienza energetica regna l’incertezza. Non si sa se le detrazioni fiscali del 55% saranno mantenute nei prossimi anni e gli obiettivi sui certificati bianchi per i distributori di energia elettrica e gas scadono a dicembre, mentre occorrerebbe un nuovo target al 2020 per dare un orizzonte chiaro agli operatori.

Questa straordinaria precarietà ha indotto una straordinaria mobilitazione. ISES Italia e Kyoto Club si sono fatti interpreti della necessità di un salto di qualità nella risposta promuovendo la convocazione degli Stati Generali delle Associazioni delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Così il 2 aprile, fatto unico nella loro storia, si sono riunite a Roma 23 associazioni che hanno evidenziato le principali criticità e si sono confrontate con i rappresentanti del Governo. Le risposte del sottosegretario De Vincenti del ministero dello Sviluppo economico e di Fanelli, sottosegretario al ministero dell’Ambiente, sono state incoraggianti in termini generali, arrivando anche a indicare la necessità di superare gli obiettivi europei del 2020, ma senza significative aperture nella ridefinizione dei decreti.

Da qui la manifestazione nazionale a favore delle rinnovabili, convocata per il 18 aprile insieme alla seconda riunione degli Stati Generali, per esercitare una pressione nei confronti del Governo e per replicare a una serie di attacchi alle rinnovabili comparsi recentemente sui media facendo chiarezza sui vantaggi di queste fonti. La gravità della situazione, insieme all’importanza acquisita dai comparti “green” nello scenario energetico, sottolineano la necessità di puntare a una rappresentanza unitaria in modo da potersi confrontare con maggiore autorevolezza con il Governo.

L’elemento scatenante ufficiale che ha indotto a mettere una stretta alle rinnovabili è quello dell’impatto sulle tariffe. Circa 8 miliardi di euro che si scaricano sulle bollette, una cifra destinata ad aumentare. Almeno in parte, questa situazione si è creata a seguito della crescita incontrollata del fotovoltaico in un momento in cui il MiSE non aveva ministro, per le dimissioni di Scajola.
Il problema esiste, dunque, e va gestito. Tutte le associazioni, del resto, si sono dette d’accordo per una riduzione controllata degli incentivi. Ma i tagli previsti e soprattutto l’introduzione dei registri anche per taglie limitatissime significano mettere in ginocchio il sistema e contro questo approccio il coro è stato unanime. L’impressione è che i registri rispondano a un approccio teorico di regolazione del mercato che non fa i conti con la realtà. Se lo scopo è quello di evitare che le installazioni sfuggano di mano, sarebbe sufficiente definire limiti massimi di potenza, superati i quali l’incentivo automaticamente passa a un livello inferiore: in questo modo il mercato si autoregolamenterebbe senza gli inutili intralci burocratici indotti dai registri, che peraltro limiterebbero notevolmente la bancabilità dei progetti.

Un altro elemento che ha visto tutte le associazioni concordi riguarda la necessità di un approccio integrato che consenta di valutare e di incentivare tutte le tecnologie, elettriche e rinnovabili, e i settori dell’efficienza energetica. E, ancora a monte, l’urgenza di definire una strategia energetica nazionale che indichi le scelte per il Paese nel breve come nel lungo periodo. Sembra grave il fatto che l’Italia navighi a vista avendo come riferimento gli obiettivi europei al 2020 ma senza scenari al 2030, 2050.

Numeri sotto la lente
Ma torniamo al peso degli incentivi, che merita un approfondimento e una contestualizzazione. Intanto, l’impatto calmierante dell’energia solare sulla formazione dei prezzi toglierà 1 miliardo alle bollette. Vanno poi conteggiate le riduzioni delle importazioni di gas grazie al boom dell’elettricità verde (3 miliardi di metri cubi in meno nel periodo 2008-2011 e 7 miliardi di euro in CO2 non emessa, con un risparmio per il Paese di 1,5 miliardi di euro). Inoltre i costi del Cip6, già diminuiti da 3,6 miliardi del 2006 agli attuali 1,2 miliardi, continueranno a ridursi. Un altro paio di miliardi verranno infine eliminati dalle bollette grazie alla liberalizzazione del mercato del gas. Come si vede, il fardello delle rinnovabili risulterà più che dimezzato. E diventerà ancor più leggero per il Paese, considerando le entrate per lo Stato in termini di IVA e di tasse pagate dalle migliaia di aziende che sono sorte.

Questo per quanto riguarda l’impatto sulle bollette. Ma c’è un altro elemento da considerare, i molteplici vantaggi che possono derivare da una larga diffusione delle rinnovabili per il nostro Paese sul medio e lungo periodo. Due recenti rapporti, uno dell’Università Bocconi l’altro di Althesis, calcolano un vantaggio netto per il Paese al 2030 compreso tra 30 e 76 miliardi di euro. Risultati analoghi vengono dalla Germania, che alla stessa data punta ad avere il 50% dei consumi elettrici soddisfatti dalle rinnovabili. Uno studio commissionato dal ministro tedesco dell’ambiente Norbert Röttgen ha valutato che per quella data l’elettricità verde costerà 7,6 centesimi al kWh, contro i 9 centesimi del kWh termoelettrico. Dunque la forte crescita dell’elettricità verde può essere gestita con intelligenza e con un vantaggio economico sul lungo periodo: nello stesso studio si prevede che la Germania supererà l’obiettivo del 35% di elettricità verde al 2020, arrivando al 40%.

Tornando alla preoccupazione per lo sviluppo delle rinnovabili, oltre al comparto dei consumatori c’è un altro settore che si è espresso con chiarezza, ed è la prima volta che ciò avviene in modo così palese. Parliamo dei produttori termoelettrici che temono sia l’erosione del mercato legata alla crescita della produzione di elettricità verde, sia l’impatto sui prezzi dell’elettricità che, specie nelle ore centrali della giornata, si riducono a causa dell’iniezione di energia solare. È una situazione che si è verificata anche in Germania dove tra il 2007 e il 2011, secondo l’Institute for Future Energy Systems, il prezzo dell’energia elettrica si è ridotto mediamente del 10% e del 40% nelle ore centrali della giornata. Risultato, un taglio dei guadagni degli operatori delle centrali convenzionali. «Lo sviluppo delle rinnovabili, unito alla stagnazione della domanda, sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzione degli impianti convenzionali, mettendone a rischio la possibilità di rimanere in esercizio» ha dichiarato recentemente il presidente di Enel, Andrea Colombo. Naturalmente gli operatori tentano di rifarsi e c’è il concreto sospetto che le utilities alzino i prezzi nel tardo pomeriggio.

Sta di fatto che ci troviamo di fronte a un fenomeno totalmente nuovo. Negli ultimi 5 anni l’elettricità verde è passata dal 16% al 26% dei consumi. Quest’anno il solo fotovoltaico coprirà il 6% della domanda elettrica. Un cambiamento che obbliga le rinnovabili ad affrontare responsabilità maggiori e gli operatori tradizionali a ripensare le loro strategie. Tutto ciò in un contesto caratterizzato da una sovraccapacità di potenza elettrica che supera ormai i 110 GW a fronte di una potenza di punta pari a 56 GW. La forte presenza dei cicli combinati rappresenta un buon complemento alle rinnovabili non programmabili per la loro capacità di variare rapidamente la propria produzione. In questo quadro, d’altra parte, non si capiscono i progetti di realizzazione di nuove centrali e si può valutare appieno la follia che avrebbe rappresentato l’avventura nucleare.

Sfide aperte
La presenza ormai non marginale delle rinnovabili non programmabili pone nuove sfide agli operatori di questo settore. Ne è una prova il documento di consultazione 35/2012 dell’Autorità per l’Energia sulla responsabilizzazione dei produttori verdi rispetto ai costi di dispacciamento dell’energia elettrica, che finora erano stati socializzati. Sarà premiato chi riuscirà a prevedere con maggior accuratezza la propria produzione e andranno comunque considerati nuovi costi. In futuro questo potrebbe significare, accanto all’introduzione di sistemi previsionali sulla produzione verde, anche l’utilizzo di sistemi di accumulo dell’energia. Più in generale, si porrà il problema della gestione dell’elettricità prodotta, con un ruolo sempre più attivo rispetto al passato. Insomma, il maggior ruolo nel sistema elettrico comporterà l’assunzione di specifiche responsabilità.

Se il mondo delle rinnovabili deve attrezzarsi, sull’altro versante le compagnie elettriche rischiano di essere spiazzate dalla rapidità della trasformazione del mercato, che può indurre una riduzione delle entrate e un offuscamento della loro posizione dominante. Per mantenere un ruolo importante dovranno diversificare le attività. Verrà premiata la capacità di interagire con la generazione rinnovabile. Potranno entrare nel mercato delle smart grid e degli accumuli. E naturalmente potranno avere uno spazio nella diffusione delle tecnologie verdi. In realtà, si tratta di accelerare la trasformazione di strategie che sono già in atto. Una cosa però è certa: il peso dei grandi gruppi, a iniziare da Enel, è destinato a diminuire. Almeno 350.000 impianti che utilizzano sole, vento, biomasse e acqua sono di proprietà di singoli cittadini, imprese, enti locali. E la quota è destinata a crescere. In Germania sono ben oltre 1 milione gli impianti non controllati dalle utilities. Il fotovoltaico in particolare sfugge più facilmente al controllo perché in molti casi le potenze sono di piccola taglia.

Il fatto che si avvicini rapidamente la grid parity e che quindi nel giro di 2-4 anni questa tecnologia potrà diffondersi senza incentivi apre scenari molto interessanti. In una fase di transizione il solare dovrà sopportare i costi di trasformazione della rete elettrica. Ma a un certo punto, grazie anche alla presenza di accumuli decentrati, gli investimenti privati consentiranno di fornire energia al Paese senza alcun peso per la collettività, evitando l’importazione di gas o carbone.
Una democratizzazione del sistema di produzione, che si sposa con l’aumento della sicurezza e con la competitività del Paese. Siamo all’inizio di una profonda trasformazione del sistema energetico che, se gestita bene, porterà risultati positivi non solo all’occupazione e all’ambiente ma anche all’economia e favorirà il controllo dal basso di un bene prezioso come l’energia.

L’articolo è stato pubblicato nel n. 2/2012 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “Rinnovabili la traguardo”

ADV
×