La guerra commerciale del fotovoltaico Usa contro i cinesi

Gli Usa innalzano le prime barriere protezionistiche contro quella che considerano una concorrenza sleale per l'industria fotovoltaica domestica. Ieri il dipartimento del Commercio ha deciso di porre un dazio sui prodotti cinesi, il cui prezzo, troppo basso, sarebbe frutto degli aiuti di Stato di Pechino, che vanno a distorcere il mercato.

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Gli Stati Uniti innalzano le prime barriere protezionistiche contro quella che considerano una concorrenza sleale per l’industria fotovoltaica di casa. A mesi dalla denuncia di Solarworld e di altri produttori, ieri è arrivata una decisione preliminare del Department of Commerce (vedi allegato): gli Usa imporranno un dazio sull’importazione di moduli fotovoltaici cinesi.

Una tassa sull’importazione che sarà applicata retroattivamente sui moduli importati da dicembre e che andrà dal 4,73% applicato ai prodotti di Trina Solar, al 2,9% che toccherà a quelli di Suntech, mentre tutti gli altri prodotti cinesi verranno pagati il 3,61% in più.

Moderata soddisfazione dalle principali associazioni di categoria del fotovoltaico Usa, anche se il dazio è molto più basso di quello che molti si attendevano: si era parlato di percentuali attorno al 20-30%. Tant’è che, dopo la decisione, alla Borsa di New York le azioni di grandi aziende cinesi come Suntech e Yingli sono salite rapidamente. Anche nelle dichiarazioni raccolte da China Daily le compagnie cinesi sembrano serene: alcune, come Suntech, hanno anche stabilimenti produttivi negli Usa e dunque potranno evitare in parte il dazio, altre, come JA Solar, ritengono di poter reggere senza problemi dazi fino all’8%. Ulteriori tassazioni sull’import potrebbero infatti essere introdotte a maggio, quando il dipartimento del Commercio concluderà una seconda indagine sul presunto dumping. Potremo, al tempo stesso, assistere a un ulteriore corsa al ribasso dei prodotti cinesi?

Il pronunciamento del Department of Commerce, ricordiamo, nasce da una denuncia fatta da Solarworld Usa e da altri operatori, in cui si accusa la Cina di concorrenza sleale: se l’industria FV Usa non riesce a reggere la competizione con i prodotti cinesi – si sostiene – è a causa dei massicci aiuti di Stato che i produttori della potenza asiatica hanno ricevuto e ricevono.

Sappiamo che la competitività della produzione cinese nel fotovoltaico è da ricercarsi nel costo di produzione più basso, in notevoli economie di scala e di filiera, con una forte presenza di aziende over-gigawatt e oltre 250 produttori nel Paese. Ma certamente pesano molto le facilitazioni statali, specie per l’export e nell’accesso al credito. Si pensi solo che, secondo Mercom Capitals, la Banca di Stato cinese negli ultimi due anni ha concesso alle industrie nazionali del FV finanziamenti a tassi agevolati per 40 miliardi di dollari.

Quello della competitività dei prodotti cinesi, d’altra parte, è un problema anche per l’industria europea che rischia di essere spinta fuori mercato. Se ne è parlato di recente in riferimento all’Italia e al premio ‘made in Europe’ nell’ambito della Conferenza italiana dell’industria fotovoltaica (Qualenergia.it, FV tra globalizzazione, protezionismo e model business) e lo ricordavamo ieri illustrando l’ultimo position paper di Epia.

L’associazione europea dell’industria del fotovoltaico chiede a Bruxelles di “prestare particolare attenzione, sia a livello internazionale che in ambito UE, alle misure protezionistiche (barriere non-tariffarie, requisiti proibitivi sul contenuto di componenti locali, sussidi nascosti/compensativi, gare pubbliche discriminatorie, concorrenza scorretta e dumping) o alle politiche asimmetriche miranti a promuovere l’export e a discriminare l’import”.

Una preoccupazione condivisa anche dall’ufficio del Commissario europeo al Commercio, Karel De Gucht. L’Europa dovrebbe “adottare tutti gli strumenti a disposizione per abbattere le barriere che distorcono il mercato”, ha dichiarato a una conferenza un portavoce dell’ufficio, Marc Vanheukelen, specificando che “potremmo portare in tribunale chi non gioca secondo le regole”.

La stessa Solarworld nei mesi scorsi aveva annunciato anche in Europa azioni legali analoghe a quelle intraprese negli Usa contro le industrie cinesi.

Nel frattempo con i grandi mercati europei, Italia e Germania, che si rimpiccioliranno verosimilmente di un fattore 3-4 e con sempre più protezionismo nell’aria, la Cina, che produce quasi la metà delle celle installate, sta puntando sempre più decisamente sul mercato di casa.

A fine 2010 il Paese aveva meno di un gigawatt di potenza fotovoltaica installata, nel 2011, a metà anno, è stata introdotta una tariffa incentivante nazionale e ci sono state nuove installazioni per 2 GW; le previsioni per il 2012 parlano di almeno 4 GW di nuove installazioni. L’obiettivo sul FV del piano quinquennale cinese 2011-2015 è già stato rivisto al rialzo due volte: all’inizio, dopo Fukushima, è stato portato da 5 a 10 GW al 2015 e poi innalzato fino a 15 GW.

Un mercato, quello cinese, che sarà di difficile accesso per le aziende estere: l’obiettivo, secondo Pechino, dovrà essere soddisfatto almeno per l’80% con componenti made in China e anche a livello di sviluppatori e installatori le cose saranno rese difficili dal controllo centrale e dall’incertezza normativa: per esempio la durata dell’incentivo non è definita e in pratica è il governo centrale a decidere quali impianti fare e dove.

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