Fischiettando sulla strada per la catastrofe climatica

Il mondo va verso un aumento della temperatura anche oltre i 6 °C, nonostante gli impegni di riduzione delle emissioni presi finora. Lo dicono due report freschi di pubblicazione, uno targato OCSE e uno MIT. Bisogna agire subito, anche perché temporeggiare farebbe lievitare i costi, si avverte. Un allarme che sembra però restare inascoltato.

ADV
image_pdfimage_print

Da una parte la catastrofe ambientale, aumenti di temperatura anche oltre i 6 °C, cioè danni irreversibili e difficilmente calcolabili all’ecosistema e dunque all’esistenza della nostra specie: per tentare una quantificazione economica, un danno di 14 punti percentuali del Pil mondiale. Dall’altra, l’azione per tentare di ridurre le emissioni e stare sotto alla soglia critica di 2 °C di aumento, neanche troppo costosa se tempestiva: 0,2% del Pil ogni anno. Il mondo sta lasciandosi alla spalle questo bivio e sta procedendo a tutto vapore per la prima di queste due strade. Ma la cosa sembra non fare notizia.

Non si spiega diversamente il fatto che nel dibattito pubblico siano passati praticamente sotto silenzio due importanti report appena usciti che fanno il punto della situazione sulla questione clima. Vi si leggono proiezioni per i prossimi decenni che fanno impallidire i danni dell’attuale crisi economica e che dovrebbero attirare l’attenzione di opinione pubblica e decisori per muoversi subito, cosa che invece non avviene.

I due studi vengono uno dall’OCSE e uno dall’MIT e in entrambi le proiezioni sono preoccupanti: l’OCSE (executive summary in allegato e report scaricabile qui) stima che, per come stanno andando le cose, la temperatura media del Pianeta aumenterà dai 3 ai 6 gradi. Gli scienziati del Massachusset’s Instituite of Technology (report allegato), prevedono invece che, considerando gli impegni di riduzione delle emissioni presi a Copenhagen, la febbre del Pianeta salirà dai 3,5 ai 7 °C.

Ma vediamo qualche numero dal lavoro OCSE: la popolazione mondiale, si stima, aumenterà di 2 miliardi nei prossimi 38 anni, toccando i 9 miliardi nel 2050. Il Pil mondiale quadruplicherà (con l’Africa che sorpasserà l’Asia per tassi di crescita). Il fabbisogno energetico salirà dell’80% e le fonti fossili, se non si tolgono gli incentivi che le sostengono e si promuovono maggiormente le fonti pulite, continueranno a fornire oltre l’85% dell’energia mondiale. Sempre ammesso che l’offerta possa adeguarsi (a che costi?) alla domanda.

I gas serra in questo scenario a metà secolo raggiungerebbero una concentrazione di 685 parti per milione, quasi il doppio di quanto diversi climatologi raccomandano come valore limite (350 ppm). Di conseguenza, appunto, la temperatura media aumenterà dai 3 ai 6 °C rispetto ai livelli pre-industriali.

Clima e pressione demografica ovviamente peserebbero su altre voci fondamentali del bilancio ecologico del Pianeta: per come stanno andando le cose perderemo un 10% di biodiversità, soprattutto per i cambiamenti climatici e l’aumento del suolo coltivato. Aumenterà poi il problema della scarsità idrica, con 2,3 miliardi di persone in più e in totale il 40% degli abitanti del Pianeta che vivrà in aree soggette a stress idrico. Brutte notizie anche sul fronte inquinamento atmosferico: le morti annuali causate dalle poveri sottili passeranno dal milione attuale a circa 3,6 milioni.

Fosco anche il futuro dipinto dal MIT: al 2050 prevede che il fabbisogno energetico raddoppi. Anche se gli impegni assunti a Copenhagen (se rispettati) permetteranno di stabilizzare le emissioni nei Paesi sviluppati o di vecchia industrializzazione, queste continueranno comunque a crescere rapidamente per via della crescita nei Paesi emergenti: le emissioni di CO2 entro fine secolo triplicheranno e quelle dei gas serra in generale raddoppieranno. Continuando così, avvertono dal MIT, rivedendo al rialzo la stima del IPCC (+6,4°C) si potrà raggiungere un aumento della temperatura media del Pianeta di 6,7 °C.

Insomma, bisogna agire e subito perché questi scenari non diventino realtà. Ogni ulteriore ritardo diminuisce la possibilità di successo e fa lievitare i costi degli interventi. Adesso, secondo l’OCSE, per stabilizzare la concentrazione di gas serra a 450 ppm e stare al di sotto dei 2 °C basterebbero investimenti per lo 0,2% del Pil annuale mondiale, 5,5 punti percentuali da qui al 2050. Pessima scelta ritardare l’azione: se tagli ulteriori alla CO2 venissero posticipati oltre il 2020, i costi da sostenere al 2050 sarebbero del 50% più alti. Come dire che non agire, nello stesso arco temporale, potrebbe costarci il 14% del Pil mondiale.

Si potrebbe cominciare, suggerisce l’OCSE, con l’eliminare i sussidi alle fonti fossili: nel 2010 oltre 400 miliardi di dollari l’anno nei Paesi emergenti e in via di sviluppo e dai 45 ai 75 nei Paesi OCSE. In questo modo si ridurrebbero le emissioni mondiali di gas serra del 6%. Se poi si mettesse in piedi un mercato della CO2 adeguato, oltre a tagliare i gas serra, questo potrebbe portare agli Stati entrate fiscali per circa lo 0,6% annuo del loro Pil al 2020, circa 250 miliardi.
Insomma è un peccato che i calcoli di questi report non siano arrivati sui nostri giornali e tantomeno sulle scrivanie del nostro Governo, forse troppo impegnato in un’ottica di breve periodo.

ADV
×