C’è fermento sulla via italiana per le smart grid

Gestione della domanda, urgenza di accogliere la produzione di impianti non programmabili come quelli eolici e fotovoltaici, necessità di integrare futuri milioni di veicoli elettrici. La rete elettrica italiana deve divenire “intelligente”. Come sta affrontando queste sfide? Ce lo spiegano dall'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano

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Il modo di generare energia elettrica sta cambiando profondamente. La produzione decentralizzata e da fonti non programmabili come eolico e solare è sempre più importante. Sempre più impellente diventa la necessità di un sistema elettrico flessibile, capace di gestire in maniera efficiente l’energia facendo dialogare produttori e consumatori. È la cosidetta smart grid, una rete elettrica resa ‘intelligente’ con diverse nuove soluzioni tecnologiche. Su questo tema, il prossimo 22 marzo Kyoto Club e il Gruppo Loccioni organizzeranno un convegno dal titolo “Smart Grid: dove si incontrano le energie dell’uomo e dell’ambiente“.

Quali sono e come si stanno implementando nel nostro Paese le strategie tecnologiche per una rete smart, lo spiega anche l’ultimo lavoro dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, dal titolo Smart Grid Executive Report (scaricabile qui). Ne abbiamo parlato con uno degli autori, Simone Franzò.

Dottor Franzò, per gestire la produzione in crescita da fonti rinnovabili e per usare l’energia in maniera più efficiente, sappiamo che il sistema elettrico deve evolversi. Come deve cambiare?

Il sistema elettrico deve divenire interamente “smart”, cioè intelligente, a livello di sistema. Nel nostro studio lo abbiamo scomposto nelle sue tre parti: la produzione  che abbiamo definito “smart generation”, la fase di trasmissione e distribuzione “smart network” e nella fase dell’utenza secondo le logiche dello smart metering e dell’active demand.

Partiamo da uno di questi tre aspetti, per esempio quello che riguarda la gestione della domanda.

Qui abbiamo rilevato l’importanza della advanced meter infrastructure, e soprattutto dello strumento smart meter (i cosiddetti contatori intelligenti, ndr). Su questo versante l’Italia rappresenta un’eccellenza a livello mondiale, dato che il 95% dei punti di prelievo è ormai dotato di smart meter, per un totale di circa 37 milioni.
Tuttavia per abilitare una gestione “intelligente” della domanda è necessario superare le criticità dell’attuale smart meter, che non consente per esempio di abilitare le cosiddette tariffe multiorarie, le quali rispecchierebbero in maniera più fedele l’effettivo costo di produzione dell’energia. L’attuale tariffa bioraria definita dall’Autorità, che fino al 2011 prevedeva una differenza ridotta (nell’ordine del 10%) tra le tariffe F1 ed F2/F3, anche a fronte di comportamenti molto virtuosi da parte dell’utente permetteva di conseguire benefici poco rilevanti, nell’ordine delle poche decine di euro, non tali da incentivare adeguatamente il consumatore a cambiare abitudini.
Altro punto “debole” dello smart meter riguarda la facilità d’accesso alle informazioni sui profili di consumo da parte del consumatore, che così non ha quella consapevolezza sui propri consumi che risulta fondamentale per abilitare il suo coinvolgimento attivo all’interno del sistema elettrico; un aspetto ritenuto centrale anche dal consesso dei regolatori europei.
In questa direzione sta andando, per esempio, il progetto “Smart info” di Enel Distribuzione, che mediante la fornitura di un dispositivo hardware che comunica con lo smart meter, consente al consumatore di visualizzare i propri consumi dallo schermo del pc o di altri device, abilitando inoltre la comunicazione tra lo smart meter e gli elettrodomestici intelligenti.

Nel mondo della produzione, invece, quali sono le tecnologie che permetteranno alle rinnovabili non programmabili di integrarsi maggiormente nel sistema?

Due sono le tecnologie fondamentali per quello che riguarda la gestione intelligente della generazione, la cosiddetta ‘smart generation’: gli smart inverter e i sistemi di ottimizzazione degli asset.
Lo smart inverter permette di implementare innovative modalità di controllo, gestione e protezione. In pratica, in un impianto da fonte rinnovabile non programmabile consente di abilitare funzionalità quali la disconnessione dalla rete da remoto, oppure l’insensibilità ai rapidi abbassamenti di tensione, la modulazione della potenza erogata e così via.
Queste funzionalità risultano fondamentali alla luce della pervasiva penetrazione della generazione distribuita, che attualmente viene gestita, o meglio “non-gestita”, in modalità cosiddetta “fit and forget” (“connetti e dimentica”, ndr), un paradigma insostenibile ora che la generazione distribuita connessa alle reti di media e bassa tensione ha superato gli 11 GW di potenza.
La recente norma tecnica CEI 0-21 obbliga gli impianti allacciati in bassa tensione, a partire dal luglio 2012, a dotarsi di smart inverter, tuttavia è possibile e auspicabile una revisione in tal senso anche della norma tecnica CEI 0-16 che regola le connessioni in media e alta tensione, considerando che il 75% degli impianti da fonte rinnovabile non programmabile (in termini di energia immessa in rete) sono connessi in media tensione.
Peraltro, in questa direzione vanno anche i requisiti funzionali richiesti dal Quarto Conto Energia agli inverter installati in impianti fotovoltaici che entrano in esercizio successivamente al 31 dicembre 2012,  nonché l’allegato A70 di Terna, con cui essa pone vincoli agli Utenti Attivi (sia in bassa che in media tensione) e ai Distributori, su cui l’Autorità ha espresso parere positivo nei giorni scorsi.

In cosa consistono invece i sistemi di ottimizzazione degli asset?

I sistemi di ottimizzazione degli asset invece permettono di prevedere con maggior accuratezza la produzione in impianti da fonti rinnovabili non programmabili, e sono di particolare importanza anche alla luce degli sviluppi normativi attesi. Se da una parte l’attuale obbligo di dispacciamento dell’energia rinnovabile è un disincentivo alla programmabilità, dall’altra si sta proponendo l’introduzione di oneri di sbilanciamento (a carico dei soggetti che immettono energia in rete prodotta da impianti alimenti da fonti rinnovabili non programmabili in misura diversa da quanto definito secondo i programmi di immissione, ndr). Questa tematica è oggetto d’interesse da parte dell’AEEG, che nel febbraio 2012 ha pubblicato il documento di consultazione DCO 35/2012, di cui si attende un seguito già nel corso del 2012.

Che conseguenze pratiche  deriverebbero da queste novità ai produttori da fonti rinnovabili? È l’inizio della fine della priorità di dispacciamento dell’energia rinnovabile?

Ancora siamo in fase di studio, ma non credo sia in discussione il principio della priorità di dispacciamento. Tuttavia la definizione di oneri di sbilanciamento renderebbe necessario migliorare la capacità previsionale degli impianti. I sistemi di ottimizzazione degli asset dunque saranno sempre più importanti, anche perché si prevede che entro il 2020 l’incidenza delle rinnovabili non programmabili, con riferimento al portafoglio impianti delle principali utility di generazione operanti in Italia (che di fatto rappresentano i soggetti maggiormente interessati, per capacità economiche e per rilevanza del parco impianti, all’adozione di tali sistemi), arrivi all’8-10% della potenza installata.

Parliamo di sistemi di accumulo. Attualmente lo storage in Italia si fa praticamente solo con i bacini idroelettrici, a che punto siamo con le altre tecnologie come i sistemi a batterie?

C’è un notevole fermento. Terna nel 2011 ha emesso un bando di gara per 130 MW di accumuli elettrochimici, quindi parliamo di batterie. Altro esperimento è il progetto Green Energy Island di Fiamm, anche se su scala ridotta: si tratta di un sistema di accumulo composto da batterie al sodio-nickel, per una capacità di immagazzinamento di 230 kWh, accoppiato a un impianto fotovoltaico.
Anche i gestori delle reti di distribuzione stanno mostrando interesse verso l’adozione di questa soluzione tecnologica: in particolare Enel, che nell’ambito dei progetti pilota di smart grid ha reso funzionante un sistema di storage agli ioni di litio nell’ordine del MW (per una capacità di immagazzinamento di 500 kWh) presso Isernia.
Il tema fondamentale nei sistemi di accumulo è quello economico: i bacini idroelettrici al momento sono i meno costosi, tuttavia la fattibilità risulta subordinata alla possibilità di sfruttare bacini naturali o realizzare bacini artificiali (a tal proposito, si stanno studiando soluzioni alternative, come il pompaggio idroelettrico dell’acqua marina); mentre per quanto riguarda le batterie risulta necessaria la riduzione dei costi e dell’occupazione di spazio, oltre a garantire la necessaria affidabilità e sicurezza.

Nel vostro report si parla anche della futura integrazione della mobilità elettrica nel sistema elettrico nazionale.

Prendendo come riferimento le stime sulla diffusione futura dei veicoli elettrici in Italia, realizzate da autorevoli società di consulenza, abbiamo cercato di valutarne gli impatti sul sistema elettrico e sulla sua evoluzione verso la smart grid. Le stime più ottimistiche parlano di circa 4 milioni di veicoli elettrici in circolazione al 2020: ciò comporterebbe un surplus di fabbisogno elettrico attorno agli 8 TWh, corrispondente a circa un +2,5% rispetto al fabbisogno elettrico nazionale registrato nel 2010. Un valore sicuramente rilevante, paragonabile ai consumi di 2-3 milioni di famiglie italiane.

I veicoli elettrici potranno contribuire a stabilizzare il sistema, per esempio concentrando i loro consumi nelle ore di minor domanda, ossia ricaricandosi di notte?

Certo, qui si apre il grosso tema dell’indirizzamento e della gestione “intelligente” delle opportunità abilitate dalla diffusione della mobilità elettrica, che può essere vista come un sistema di accumulo “mobile”. Risulta altresì necessario studiare le modalità di integrazione che permettano di farla diventare non una criticità, quanto piuttosto un’opportunità per il sistema elettrico.

La smart grid, come abbiamo visto, è fatta di una molteplicità di nuove tecnologie da implementare a diversi livelli. Sono tutte soluzioni capaci di integrarsi tra loro o alcune sono tra loro esclusive?

Alcune soluzioni risultano complementari. Per esempio è il caso dell’home management system e dell’advanced metering infrastructure: è chiaro che, senza uno smart meter che abiliti una comunicazione bidirezionale con gli elettrodomestici e che sia in grado di gestire tariffe multiorarie, l’adozione da parte dell’utente finale dell’home management system da un punto di vista economico non risulta “ragionevole”.
Altre tecnologie tendono invece a essere sostitutive: per esempio i sistemi di controllo, automazione e sensoristica per la fase di trasmissione, identificati come “transmission layer system evoluti”, che servono a ricollocare a livello periferico funzionalità attualmente gestire a livello centralizzato, sono nati per essere collocati in zone delicate della rete, come per esempio i parchi eolici.
Questo si pone, almeno in parte, in alternativa ai sistemi di accumulo, che tra le funzionalità principali annoverano proprio l’integrazione delle fonti rinnovabili non programmabili, quali appunto i parchi eolici, specialmente in quelle che Terna definisce “zone critiche” (soprattutto le province di Foggia, Avellino e Benevento), ove si è reso necessario la limitazione della produzione di tali impianti, con una “mancata produzione eolica” di circa 470 GWh nel 2010, pari al 5,6% della produzione eolica italiana nello stesso anno.
Per concludere, dal report emerge che è fondamentale l’approccio sistemico, sia da parte dei vari attori che insistono sul sistema elettrico, sia, soprattutto, da parte dell’AEEG, che deve puntare a una vera integrazione tra le varie tecnologie abilitanti la smart grid (come sta avvenendo grazie ai progetti pilota di smart grid sulla rete in media tensione) piuttosto che sulla promozione “spot” di singole soluzioni, come è avvenuto per esempio per gli smart meter.

(credit foto titolo Argonne National Laboratory)

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