L’Italia va male nella classifica dell’innovazione verde

La strada della competitività si giocherà su ricerca e innovazione tecnologica legate alla decarbonizzazione dell'economia. La durissima sfida sarà con i Paesi asiatici. Ci sono nazioni che sono in pole-position, altre rischiano di restare indietro. L'Italia è tra queste ultime: al 27° posto su 38 nella classifica preparata da WWF e Cleantech Group.

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Ci sono nazioni che, approfittando dell’occasione data dalla necessità di decarbonizzare l’economia, si stanno piazzando in pole-position nell’innovazione tecnologica verde. Altre invece rischiano di restare indietro. L’Italia è tra queste ultime: al 27° posto su 38 nella speciale classifica preparata da WWF e Cleantech Group, Coming Clean: The Global Cleantech Innovation Index 2012 (scaricabile qui).

Quella scattata è una fotografia del potenziale innovativo nei vari Paesi che tiene conto di molti aspetti sia da una analisi a monte, cioè potenziale di creare innovazione, che da quella a valle, cioè la possibilità che le innovazioni trovino uno sbocco commerciale. Un indice elaborato sulla base di 15 indicatori che tentano di misurare una molteplicità di aspetti che va al di là del numero di innovazioni che un Paese riesce a sfornare e commercializzare: l’attività di università e centri di ricerca, il supporto pubblico e privato a ricerca e sviluppo, l’accessibilità al credito, le politiche di supporto alle tecnologie low-carbon, il mercato interno e diversi altri.

Il nostro Paese, si legge, “ha dei driver specifici per l’innovazione cleantech sopra la media, ma è carente su altri aspetti”. Se c’è infatti un certo numero di politiche pubbliche “cleantech friendly” e un ambiente attraente per le fonti rinnovabili, a frenare l’Italia intervengono una “cultura imprenditoriale carente” e la mancanza di accesso a finanziamenti privati. Per questo, spiega il report, il Paese vede poca attività di venture capital e produce pochi brevetti. Anche sul versante della commercializzazione delle innovazioni il voto è mediocre: questo è dovuto, si legge, allo “scarso consumo di energia rinnovabile” e al fatto che sono poche le aziende pubbliche attive nell’ambito delle tecnologie pulite. Anche se sul fronte delle PMI esistono interessanti eccezioni.

Ecco dunque che nella classifica ci troviamo decisamente verso il fondo, dietro a Paesi come Spagna, Portogallo, Argentina, Ungheria e Repubblica Ceca. Al vertice invece vediamo Danimarca, Israele, Svezia e Finlandia (vedi grafico sopra, qui tabella con i punteggi).

A far meritare alla Danimarca il primo posto è l’ambiente estremamente favorevole per le start-up in generale, accoppiato agli obiettivi ambiziosi e all’importanza economica del settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Simile la situazione in Svezia e Finlandia: economie relativamente piccole e ad alta concentrazione di innovazioni, che però non sempre hanno l’abilità di far crescere le aziende, specifica il report.

Ovviamente l’indice è rapportato alle dimensioni delle economie nazionali, diversamente la classifica avrebbe un altro aspetto. Per esempio il Paese con il più grande budget pubblico destinato alla ricerca nelle tecnologie pulite sono gli Stati Uniti, che hanno anche il maggior numero di start-up, il più grande volume di investimenti e la più florida attività di venture capital, ma nella classifica generale alla fine sono solo quinti. Al sesto posto troviamo un’altra potenza delle rinnovabili, la Germania.

Nord America ed Europa per ora sono al centro della scena dell’innovazione mondiale. Per semplificare notiamo che l’innovazione parte ancora soprattutto da qui, ma si sviluppa meglio altrove: la regione dell’Asia-Pacifico è quella con i migliori punteggi per quel che riguarda il traghettamento dalla fase di start-up a quella di commercializzazione delle innovazioni su larga scala.

Le cose però stanno per cambiare: le potenze asiatiche saranno sempre più forti anche nelle primissime fasi della ricerca. Cina e India per esempio al momento sono rispettivamente al 13° e al 12° posto ma, annuncia il report, hanno un forte potenziale per risalire la classifica negli anni a venire visto che stanno convogliando ingenti investimenti, sia pubblici che privati, nella ricerca.

Insomma sarà una sfida non da poco per l’Occidente, anche perché, come ricorda Richard Youngman, Managing Director Europe & Asia di Cleantech Group, “Coltivare start-up e far crescere aziende con soluzioni di tecnologia pulita sarà sempre più importante per la competitività dei vari Paesi a livello mondiale”.

Anche per la questione ‘clima’ ovviamente il fronte cleantech è centrale, come sottolinea Samantha Smith del WWF: “L’indice mostra che diversi Paesi sono sulla giusta strada, ma c’è molto di più da fare per la transizione verso un futuro al 100% basato sulle rinnovabili. La stragrande maggioranza dei capitali necessari arriverà da una varietà di fonti private. Sviluppare una ricetta efficace per rafforzare il flusso di risorse pubblico-private verso le aziende cleantech nei loro stadi embrionali o più maturi sarà la chiave per il successo economico del settore nei vari Paesi”.

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