Transizione energetica, fossili come soluzione ponte? Il petrolio

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Centri di ricerca, agenzie energetiche, anche ambientalisti, credono che l'utilizzo delle "abbondanti" fonti fossili, petrolio, gas naturale e carbone, potrà accompagnare dolcemente ad una transizione energetica verso le rinnovabili. Ma la realtà sembra essere molto diversa. Quale fonte tradizionale potrà ergersi a soluzione ponte? Partiamo con il petrolio.

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Siamo così sicuri che il ponte verso le rinnovabili siano ancora le fonti fossili e soprattutto il gas naturale? E’ una convinzione molto presente anche nel mondo ambientalista, ma che si scontra con il loro notevole impatto in termini di emissioni rilasciate in atmosfera e il rapido esaurimento delle risorse scoperte.

Né petrolio, né carbone, né gas sembrano essere fonti affidabili per questa transizione dolce. Kurt Cobb, editorialista di diverse testate specializzate sul picco del petrolio e anche per Le Monde Diplomatique, autore del blog Resource Insights, ha ripreso questo tema, spesso trascurato, cercando di mettere in evidenza la situazione energetica mondiale e la necessità di passare rapidamente ad un sistema basato sulle fonti rinnovabili, coadiuvato da radicali politiche di riduzione dei consumi energetici.

Prima di parlare di gas naturale e carbone, da molti considerati per diversi motivi la speranza energetica dei prossimi decenni, Cobb fornisce un quadro della situazione del petrolio. Per l’oro nero è utile ricordare che dal 2005 la produzione mondiale si trova su una curva piatta. Non cresce. Nonostante i prezzi elevati e gli sforzi nelle esplorazioni, i livelli di produzione non aumentano. Agli attuali tassi di consumo un miliardo di barili dura solo 12 giorni, tanto che anche nuovi importanti ritrovamenti ed estrazioni potrebbero avere un impatto molto marginale. C’è poi da considerare che il tasso di esaurimento dei giacimenti è intorno al 4% all’anno, un dato spesso, volutamente, non comunicato dalle compagnie. Per pareggiare il conto l’industria petrolifera deve produrre nuovo petrolio in quantità simili a quella del Mare del Nord, uno dei più grandi giacimenti finora scoperti. Questi dati sono pubblici e consultabili nel sito della U.S. Energy Information Administration (EIA).

E gli altri prodotti petroliferi? Etanolo, biodiesel e gpl, che entrano nelle statistiche come “oil” sono rilevanti, ma non a sufficienza per sostituire la versatilità di trasporto del petrolio e le stesse quantità in gioco. Anche l’estrazione dei petroli non convenzionali, come sabbie bituminose, olio pesante del Venezuela e da scisti, dimostrano palesemente la difficoltà di produrre petrolio convenzionale e hanno costi economici ed energetici di raffinazione molto elevati, oltre a produrre emissioni notevolissime. Cobb fa un’analogia sulla situazione della risorse petrolifere: se erediti un milione di dollari, ma da contratto ne puoi utilizzare solo 500 al mese, potrai essere anche milionario, ma non vivrai mai come tale.

In effetti quello che conta non è quante risorse ci possono essere nel sottosuolo o nei mari, ma il reale tasso di produzione, fortemente condizionato da faticosi sviluppi, ingenti costi e metodi estrattivi sempre più energy-intensive. Tutto ciò, insieme al continuo esaurimento delle risorse scoperte, ci dice che nei prossimi la crescita della produzione petrolifera mondiale potrà essere nulla o veramente minima.
Nel prossimo articolo parleremo in sintesi anche della situazione gas e carbone e del loro ruolo nella transizione energetica.

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