Dentro il puzzle europeo degli incentivi alle rinnovabili

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Che impatto ha la mancata armonizzazione dei sistemi di supporto alle fonti rinnovabili dei Paesi Ue sulle decisioni di investimento degli operatori? Se lo chiede il Consiglio dei regolatori energetici europei con un report sui meccanismi incentivanti in Europa. Si parla anche i certificati verdi italiani, portati come cattivo esempio.

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L’Europa delle rinnovabili è un puzzle di sistemi incentivanti diversi e questo evidentemente influenza gli investimenti in fonti pulite nell’Unione. Anche all’interno di una stessa nazione, poi, a volte convivono meccanismi diversi e spesso, come in Italia sappiamo, questi vengono sottoposti a riforme e revisioni continue, che tolgono agli investitori le certezze necessarie allo sviluppo di queste fonti.

Che impatto ha la mancata armonizzazione dei sistemi di supporto alle rinnovabili dei vari Paesi Ue sulle decisioni di investimento degli operatori? A rispondere alla domanda prova il Consiglio dei regolatori energetici europei (Ceer), che ha lanciato una consultazione sull’argomento. Una riflessione che parte da un report (vedi allegato in basso) che identifica le differenze tra i sistemi incentivanti nazionali e altre aree di “non armonizzazione” del settore elettrico, per valutarne il potenziale impatto sui nuovi progetti e sul funzionamento dei mercati all’ingrosso dell’elettricità.

Una delle conseguenze della mancata armonizzazione degli incentivi, vi si legge, è che ad esempio non sempre lo sviluppo delle fonti viene localizzato nel modo più efficiente possibile da una prospettiva europea. Altra possibile implicazione quella di creare inefficienze relativamente ad un mercato unico europeo dell’energia, dato che gli incentivi hanno effetti sul prezzo all’ingrosso dell’elettricità nei vari paesi.

Il fatto che ogni Stato membro si doti del proprio sistema di incentivi, d’altra parte, consente a ciascuna nazione di modificare il proprio mix energetico per raggiungere il proprio obiettivo per le rinnovabili al 2020 e nel modo che ritiene più opportuno, mentre le riforme dei vari meccanismi nazionali si sono spesso rivelate necessarie per correggere distorsioni e rendere più efficiente il sostegno.

In definitiva la questione va approfondita e per questo il Ceer chiede a operatori e stakeholder di far arrivare le loro considerazioni in merito (nell’introduzione del report la modalità per far pervenire le risposte entro il 6 gennaio 2012).

Consultazione a parte, però, il report è uno strumento molto utile per farsi un’idea di come funzionano gli incentivi alle rinnovabili in Europa. Vi si descrivono i vari schemi adottati dividendoli per tipologia: obblighi di rinnovabili, tariffe feed-in e tariffe feed in premium come il nostro conto energia per il FV, ecc. (vedi grafico sotto).

Si confronta (a spanne, va detto, dato che il paragone è difficile vista la differenza dei meccanismi incentivanti) il livello di supporto economico alle varie fonti nei diversi Stati membri (vedi grafico, dati riferiti al 2009).

Si mostra la longevità e soprattutto la continuità dei meccanismi nei vari paesi. Si capisce così come ad esempio gli ottimi risultati della Danimarca (dove l’eolico da solo soddisfa circa il 24% del fabbisogno elettrico) dipendano anche dal fatto che questo paese ha il sistema di incentivazione più longevo (partito nel 1978) e meno discontinuo (vedi grafico sotto e altro grafico qui).

Interessanti infine i casi di studio proposti (vedi secondo allegato) dal Ceer. Tra questi c’è anche il meccanismo dei certificati verdi in Italia (che sarà sostituito a partire dal 2013 con una tariffa feed in per gli impianti sotto i 5 MW e da un sistema di aste per quelli più grandi).

Quello italiano è portato come esempio negativo di implementazione di un sistema basato su obblighi di acquisto di rinnovabili e certificati scambiabili. Cosa non ha funzionato secondo il Ceer? Innanzitutto le frequenti revisioni del meccanismo che “specie negli ultimi due anni hanno creato un quadro legislativo confusionario e disorganico”. Poi il fatto che le quote di energia rinnovabile che gli operatori sono obbligati ad acquistare siano troppo basse, cosa che ha generato un eccesso di offerta di certificati verdi sul mercato, con conseguente svalutazione degli stessi.

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