Royalties idrocarburi in Italia: poco per pochi, niente per molti

CATEGORIE:

Le royalities 2010 sugli idrocarburi hanno fruttato alle casse pubbliche italiane soltanto 202 milioni di € su 4,5 miliardi di valore della produzione. Queste entrate sostengono per lo più la finanza degli enti locali delle zone di produzione, ma non la pianificazione della politica infrastrutturale del sistema energetico nazionale.

ADV
image_pdfimage_print

Nel 2010 le royalties sulla produzione italiana di idrocarburi hanno contribuito alla finanza pubblica nazionale complessivamente con 202 milioni di euro, dei quali 146,7 di provenienza ordinaria indirizzati agli enti pubblici (121,1 alle Regioni, 19,2 ai comuni, 5,4 allo Stato) e 55,3 ricavati con l’introduzione di una maggiorazione del 3% dell’aliquota di produzione corrisposta dai concessionari della coltivazione di idrocarburi e destinati ad alimentare il fondo riduzione prezzo carburanti a beneficio dei residenti nelle regioni produttrici. Una misura quest’ultima, peraltro, molto contestata perché ritenuta un sussidio indiretto alla filiera delle fonti fossili.


Si tratta quindi di 202 milioni di euro di gettito a fronte di una produzione annuale di 37,24 milioni di barili di greggio e 7,94 miliardi di m3 di gas naturale che, quotata ai prezzi medi del barile e del m3 di gas, vale circa 4,5 miliardi di euro. Come valutare questo rapporto di valore? E’ doveroso porsi questa domanda, anche se l’importo totale delle royalties non è definitivo per l’anno 2010. Il resoconto è ancora privo di alcune spettanze, relative sia a vendite di gas sulla piattaforma negoziale del GSE, sia attribuite direttamente alla Regione Sicilia dai produttori operanti sul territorio isolano.


Certo è che le compagnie petrolifere straniere trovano molto vantaggiose le condizioni fiscali offerte in Italia per le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, come è confermato dalla netta prevalenza delle richieste facenti capo a società non italiane sul totale delle istanze di ricerca depositate: l’89% per quanto riguarda l’Offshore, ossia 42 istanze su 47, di cui 19 alla britannica Northern Petroleum Plc e il 66%, per la terraferma, 43 su 65 (differentemente sul suolo siciliano, 1 istanza su 11).


Il confronto, esteso a vari Paesi rispetto al nostro, tra canoni di concessione, durata delle licenze, entità delle royalties e limiti di esenzione sulla produzione (vedi tabella – pdf) ne dà conto in modo sufficientemente chiaro. Risulta evidente che le condizioni più favorevoli corrispondono alla coltivazione di giacimenti offshore, non casualmente la tipologia più ambita dalle compagnie straniere (royalties del 4% ed esenzione su una quantità giornaliera di 1000 barili/giorno per il petrolio e del 7% con esenzione sui primi 1606 bleq/g per il gas).


Per i giacimenti su terraferma le condizioni sono relativamente più onerose (royalties complessive del 10%, 7% + 3% fondo carburanti, con esenzione per i primi 402 bl/g sul greggio, percentuale confermata anche sul gas naturale con esenzione su 502 bleq/g), considerando tuttavia che i costi di upstream in questo caso risultano inferiori.


Dal quadro complessivo della capacità del settore minerario-energetico nazionale di attrarre investimenti, emerge però un’anomalia che coinvolge le compagnie petrolifere italiane in quanto detentrici della quasi totalità delle concessioni per la produzione e, conseguentemente, maggiori contribuenti al volume delle royalties: nella misura del 63%, con l’unica rilevante partecipazione straniera della Shell Italia che ha erogato lo scorso anno 75 milioni di € a coprire il rimanente 37%. Il loro scarso interesse apparente per le attività di ricerca nel territorio italiano potrebbe essere alimentato da una valutazione negativa dello stato delle riserve di petrolio e gas, in particolare della stima che ne viene fatta in relazione alla produzione cumulata.


La politica delle royalties è comunque dichiaratamente mirata a favorire la produzione nazionale di idrocarburi contenendo la fiscalità complessiva per le imprese. Dato che il tax rate (IRES, IRAP, ecc.), la componente fiscale sulle attività produttive, concede alle imprese un margine di intervento per limitarne l’entità, le royalties rappresentano il principale fattore di introito prevedibile per le casse pubbliche. Anche a parziale compensazione degli eventuali impatti negativi sul territorio delle attività estrattive, che peraltro rischiano di incombere in aree sensibili dal punto di vista ambientale e paesaggistico (vedi leggi ad trivellam).


Questo è vero in particolare per le comunità locali che convivono con gli impianti di upstream, spesso senza beneficiare di particolari ricadute occupazionali positive. Prendendo in esame l’entità del gettito in royalties per livello amministrativo istituzionale (Stato, Regione, Comuni), può essere indicativo valutarne sia l’impatto sui rispettivi bilanci ordinari sia la penetrazione distributiva sul cittadino singolo.


Allo Stato sono giunti nello scorso anno 5,4 milioni di euro, in virtù del 30% delle aliquote per produzioni in terraferma (per le sole regioni non incluse nel Mezzogiorno, ex ob. 1), del 45% delle aliquote per produzioni su mare territoriale e del 100% delle aliquote per produzioni offshore. Una somma decisamente modesta se commisurata alle previsioni di spesa annuale dello Stato (circa 700.000 milioni di euro) e irrilevante nella prospettiva di interventi infrastrutturali o di politica economica di ogni genere.


Alle Regioni sono arrivati invece complessivamente 122,1 milioni di euro, ripartiti in proporzione alla capacità produttiva regionale, frutto per produzioni in terraferma del 100% e del 55% delle aliquote, rispettivamente nelle regioni meridionali e non meridionali, e per produzioni in mari territoriali del 55% delle aliquote.


Nel caso della Regione più ricca di idrocarburi, la Basilicata, il gettito in royalties è valso 96,7 milioni di euro rispetto a una previsione di spesa in bilancio di circa 3.005 milioni. Una somma apprezzabile in fase di pianificazione economica. Ai Comuni, infine, sono pervenuti nel complesso 19,2 milioni di €, distribuiti su 28 amministrazioni secondo la produzione di pertinenza territoriale su terraferma, a seguito del 15% sulle aliquote. Il gettito per singolo comune è stato molto variabile, da 11,2 milioni di € di Viggiano (Basilicata) ai 2.252 € di Ferrandina (sempre Basilicata), e conseguentemente il relativo impatto sui bilanci; le spese del comune di Calvello ammontano per esempio a circa 5 milioni e possono essere coperte per una frazione superiore al 40% dai proventi petroliferi, pari a 2,1 mil di €.


Un esempio diretto della quota royalties complessiva pro capite può fornire un’indicazione del modo e di quanto i benefici economici dello sfruttamento delle risorse petrolifere si ridistribuiscono sui residenti nelle zone di produzione. A un cittadino di Calvello, il secondo comune più ricco di proventi della regione più ricca di risorse, sono riconosciuti 1.246 €, indirettamente per servizi erogati dagli enti pubblici e direttamente dal fondo carburanti (1.031,7 € di quota royalties comunali + 146,8 € di quota royalties regionali + 67,8 €  di quota fondo carburanti, ricavati dai 117 € della quota patentato filtrando con coefficiente popolazione, + 0.09 euro di quota royalties statali).


In definitiva il sistema fiscale delle royalties sugli idrocarburi sembra calibrato per sostenere maggiormente l’operatività degli enti locali vicini alle popolazioni in prossimità degli impianti di produzione, talvolta direttamente agevolate con misure che rimangono peraltro selettivamente premiali per l’industria petrolifera, più che per la capacità d’intervento sistemica nella pianificazione industriale ed economica di livello nazionale. Una carenza grave per un sistema energetico come quello italiano che necessita di grandi investimenti infrastrutturali in sostenibilità ambientale, sviluppo tecnologico, sicurezza energetica, competitività e crescita economica.

ADV
×