Quel verde urbano che viene considerato rifiuto

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Dallo scorso dicembre le potature del verde pubblico sono considerate rifiuti e non possono più essere usate negli impianti a biomassa, ma devono finire in discarica o in inceneritore. Un danno economico per le casse delle municipalizzate e un cambiamento che non piace per nulla al mondo delle biomasse, che chiede una correzione.

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Non si tratta che di fogliame, erba e ramaglie, prodotte ogni giorno in gran quantità nella manutenzione del verde urbano. Potrebbero trovare un loro impiego come combustibile nella filiera dell’energia da biomassa, dando anche benefici economici alle municipalizzate che gestiscono il verde pubblico. Cosa che peraltro accadeva fino a pochi mesi fa. Ma dal Natale 2010 per la legge le potature del verde pubblico non sono più “sottoprodotti” ma “rifiuti”e come tali devono essere smaltite, con tutte le complicazioni del caso.

Una stranezza introdotta lo scorso 25 dicembre, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 3 dicembre 2010; n. 205, che modificava quanto stabilito solo ad agosto 2010 con la legge 13 agosto 2010, n.129. A cambiare a dicembre è stata la definizione di sottoprodotto: nell’estate era stata modificata in modo da ricomprendere anche i materiali vegetali “provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato”, nell’ultima stesura invece i sottoprodotti possono venire solo “da agricoltura e selvicoltura”. Conseguenza: le potature del verde pubblico urbano da un giorno all’altro sono diventate rifiuti e di conseguenza non possono più essere commercializzate e utilizzate negli impianti a biomassa (inceneritori esclusi).

Una novità alquanto sgradita per gli operatori del settore biomasse, che preferivano la definizione più estensiva della legge 129 di agosto, arrivata – come spiega Walter Righini, presidente di Fiper, in una lettera al ministero sulla questione (vedi allegato) – in un momento di forte contrazione dell’offerta di cippato dalle filiere classiche (segherie, consorzi forestali, ecc.).

Difficile d’altra parte capire il senso della nuova norma che considera rifiuti le potature del verde urbano. Come fa notare bene Marino Berton, presidente di Aiel, in un’altra lettera al ministero (vedi secondo allegato): “Invito a riflettere sulla oggettiva difficoltà a trovare una differenza tra i residui della gestione forestale del bosco del Cansiglio o del bosco della Mesola e le potature derivanti dalla manutenzione degli alberi del parco di Venaria Reale (TO) oppure del parco della Reggia di Caserta. Sono entrambe biomasse legnose ed è francamente inspiegabile che debbano avere un discrimine normativo se destinate ad un impianto di teleriscaldamento o di cogeneazione”, polemizza e aggiunge: “ un paradosso considerare queste biomasse legnose come dei rifiuti da avviare alla discarica!”

Gli effetti pratici – spiega il presidente Aiel – sono che “tutti gli accordi e le convenzioni stipulate tra le pubbliche amministrazioni (che attraverso le aziende municipalizzate locali che si impegnavano nella fasi di ritiro e selezione della biomassa, ndr) e i gestori degli impianti autorizzati ad essere alimentati a biomasse vegetali per la produzione di energia, sono di fatto annullati”. Oltre a questo, aggiunge Righini di Fiper, c’è stato “un aumento di prezzo degli altri combustibili legnosi provocando gravi e pesanti ripercussioni per chi si era attrezzato all’utilizzo di detto materiale”

E’ la rottura di “un circolo virtuoso”, lamenta il presidente di Fiper: “si trasformava di fatto, in particolare per l’ente pubblico, un costo di smaltimento in una sinergia a favore della collettività. L’effetto di questa misura comporta esclusivamente un ulteriore costo di smaltimento per la collettività e l’impossibilità di mettere a punto per le imprese nuove filiere virtuose di approvvigionamento di biomassa legnosa, confermando il solito negativo sistema italiano di non dare alcuna certezza temporale agli operatori del settore nell’adozione delle norme appena approvate”.

“Assurdo – fa eco Berton – inviare in discarica delle biomasse vegetali che possono essere un ottimo combustibile, obbligando poi le amministrazioni pubbliche ad accollarsi il costo di smaltimento (in alcuni casi superiore ai 60 euro tonnellata). Non sarebbe un buon esempio rispetto alla necessità di ridurre le spese di molti Comuni”.

Tanto più, aggiunge, che dal settore delle biomasse è atteso il 45% di tutta l’energia rinnovabile prevista al 2020, secondo il Piano d’Azione Nazionale del luglio dello anno: “in quest’ottica, quindi, è importante poter valorizzare dal punto di vista energetico tutte le biomasse disponibili ed utilizzabili in modo sostenibile ed efficiente.”

Insomma, qualcosa non va in quella norma che identifica come rifiuti le potature urbane e le associazioni di categoria lo stanno facendo notare ad alta voce, chiedendo una modifica, che torni a permettere di bruciare allo stesso modo le ramaglie di una tenuta agricola e quelle di un parco comunale. Resta da vedere se il Governo ascolterà le loro richieste.

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