La batteria solare termochimica è già qui?

Può assorbire l'energia dal sole e immagazzinarla in maniera stabile nei legami chimici delle molecole e permettere di usarla anche a distanza di anni, per poi essere ricaricata. La batteria solare termochimica promette interessanti applicazioni e dal MIT arrivano buone notizie sui materiali e sugli sviluppi di questa tecnologia.

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Immagazzinare l’energia del sole nei legami chimici per usarla quando serve e non solo quando c’è. Quello dell’accumulo dell’energia è sempre stato un problema fondamentale per fonti energetiche discontinue e non modulabili come il solare. Nuove buone notizie da questo fronte arrivano dal Massachussets Institute of Technology (MIT) dove da tempo si sta studiando una molecola capace di assorbire l’energia termica del sole, conservarla e rilasciarla su richiesta, anche dopo anni, per poi essere ricaricata. Una tecnologia che consente di catturare il calore del sole in legami chimici, anche con scarsa insolazione, per poi riutilizzarlo anche a distanza di anni per le più diverse applicazioni, dal riscaldamento degli ambienti alla produzione di elettricità.

A novembre su queste pagine avevamo raccontato cosa stavano combinando nei laboratori dell’MIT (Qualenergia.it, Dal MIT le speranze per accumulare energia solare). Al tempo erano riusciti a capire il meccanismo con cui accumula e rilascia il calore il fulvalene diruthenium, l’unica molecola in grado di passare in maniera sufficientemente affidabile e reversibile tra i due stati, di accumulo e rilascio del calore. In sintesi, la molecola in questione subisce una trasformazione strutturale quando assorbe i raggi del sole acquisendo un più alto stato energetico nel quale può rimanere indefinitamente. Poi, stimolato da calore aggiuntivo o da un catalizzatore, il fulvalene diruthenium torna alla sua struttura originaria, rilasciano il calore assorbito.

Contenendo rutenio, elemento raro e costoso, questo composto è però utilizzabile solo teoricamente. La buona notizia che arriva ora, pubblicata in uno studio su Nano Letters, è che si sarebbe individuato un elemento candidato a sostituire il fulvalene diruthenium, e che dunque la super-batteria termochimica è più vicina alle moltissime possibili applicazioni cui si presterebbe.

Il nuovo materiale è stato ottenuto grazie alle nanotecnologie usando nanotubi di carbonio in combinazione con un composto chiamato azobenzene ed è migliore della sostanza a base di rutenio per diversi motivi. Oltre ad essere molto meno costoso, immagazzina 10mila volte più energia a parità di volume, raggiungendo una densità energetica pari a quella delle batterie agli ioni di litio. Inoltre la sostanza, spiegano gli scopritori, può essere manipolata in modo da aumentare sia la quantità di energia che può accumulare sia il tempo di conservazione di quell’energia.

I vantaggi di questa tecnologia (vedi immagine, cortesia MIT) sono diversi: si tratta di un sistema economico, robusto e che non si degrada nel tempo e che funge contemporaneamente sia da collettore che da accumulatore. Dunque le promesse sono interessanti. Anche perchè la nuova sostanza, spiega il coordinatore della ricerca Jeffry Grossman, potrebbe essere solo una delle tante adatte allo scopo. Ora che, a partire dallo studio sul fulvalene diruthenium, si è capito il meccanismo per cui le molecole possono accumulare calore in maniera stabile nel tempo, il team continuerà a ricercare nuovi composti idonei. Insomma, il tempo delle batterie solari termochimiche è più vicino e, viste le molte possibili applicazioni, è giusto seguire gli sviluppi tecnologici con attenzione.

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