Rinnovabili-Italia, un quadro normativo in evoluzione

Decreto di recepimento della Direttiva 77, tempi per le autorizzazioni, conto energia FV, insieme alle politiche sull'efficienza sono determinanti per il raggiungimento degli obiettivi nazionali al 2020. Ne ha parlato Mario Gamberale del Gruppo di lavoro «Fonti Rinnovabili» del Kyoto Club, in un'audizione alla Commissione Ambiente della Camera.

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Mario Gamberale, coordinatore del Gruppo di lavoro «Fonti Rinnovabili» del Kyoto Club, lo scorso 14 giugno ha svolto una relazione sulle politiche relative alla produzione di energia da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica nell’ambito di una Audizione presso la Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei Deputati. Riportiamo di seguito i contenuti essenziali del suo intervento (vedi relazione completa del Kyoto Club – in pdf).


 


In Italia siamo di fronte ad un quadro normativo sulle rinnovabili in notevole evoluzione. Nei prossimi dovranno infatti essere emanati diversi provvedimenti nel comparto delle rinnovabili, gran parte di questi a settembre. Il prossimo 3 settembre infatti dovrebbero essere emanati altri provvedimenti previsti dal decreto di recepimento della direttiva europea 77: le tariffe omnicomprensive per tutte le fonti rinnovabili fino a 5 MW, le regole per le aste per gli impianti rinnovabili sopra i 5 MW, le reti di teleriscaldamento con il prelievo da un fondo di garanzia, gli incentivi sul biometano. Un terreno sui cui bisognerà assolutamente intervenire con molta attenzione affinché le regole fissate sposino i principi della direttiva.


Il decreto del 3 marzo, che ha appunto recepito la direttiva europea 77, secondo il nostro punto di vista, ha però commesso un serie di errori tattici. Il fatto di interrompere improvvisamente gli incentivi al fotovoltaico ha creato subbuglio in un intero comparto, poi in parte corretto con il decreto del 5 maggio (nuovo conto energia, ndr).


Fortunatamente, essendo questa una direttiva comunitaria, il decreto è dovuto andare nella direzione di adottarne i principi e di identificare un quadro legislativo che sostanzialmente, se attuato nei tempi corretti, porterà l’Italia ad onorare i suoi impegni. Come detto, i futuri decreti attuativi dovranno essere attentamente ponderati affinché poi nella pratica l’obiettivo 2020 venga raggiunto.


Va detto però che il primo di questi, quello sul fotovoltaico, non va in questa direzione visto che vengono poste una serie di limitazioni al mercato che rendono più complicato raggiungere, sulla parte solare, l’obiettivo 2020. In particolare l’istituzione del registro che ha introdotto di fatto una sorta di meccanismo di gara all’interno di un meccanismo aperto come quello del conto energia, la limitazione alla potenza degli impianti, la riduzione molto veloce degli incentivi e, soprattutto, l’introduzione a regime di un cap sulla tariffa elettrica di 6-7 miliardi di euro; tutti aspetti che non consentono di raggiungere con facilità quell’obiettivo di 23mila megawatt definito nel decreto. Oggi questo target è più che altro un auspicio (per dettaglio sul conto energia vedi parte relazione del Kyoto Club, ndr)


Un’altra aspetto focale è quello delle autorizzazioni. L’Italia si differenzia dagli altri paesi europei non tanto per l’entità degli incentivi alle rinnovabili, comunque molto generosi, quanto per le lungaggini relativi all’allacciamento degli impianti e alle autorizzazioni. Il tempo medio di realizzazione di un impianto eolico in Germania si misura in mesi (tra 9 e 12), mentre ad esempio in Puglia lo stesso impianto impiega in media circa 5 anni per l’entrata in esercizio, includendo i tempi per la valutazione di impatto ambientale e per l’Autorizzazione Unica; nonostante vi sia una legge dello Stato, la 387/2003, che imponga 18 mesi come tempo massimo per l’espletamento della Conferenza dei Servizi in autorizzazione di impianto. Questo nodo va sciolto quanto prima perché è un serio ostacolo agli obiettivi nazionali del 2020, che va ricordato, sono per la prima volta sanzionabili se non raggiunti (procedura di infrazione).


In merito a questo aspetto e al decreto che recepisce la direttiva europea 77, Kyoto Club crede che sia mancato un coordinamento istituzionale tra Stato, Regioni ed Enti locali. Lo Stato, fissando incentivi importanti nell’ambito della liberalizzazione del mercato elettrico e del gas, ha dato un certamente impulso agli impianti a fonti rinnovabili definendoli di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza. Dal canto loro, le Regioni hanno legiferato in termini di autorizzazioni ambientali e procedimenti autorizzativi, ma poi sette leggi regionali su otto negli ultimi 4 anni sono state impugnate dal Ministero dello Sviluppo Economico presso la Corte Costituzionale e rese praticamente inapplicabili, creando un vuoto legislativo sulle autorizzazioni degli impianti che ha determinato un danno sia agli imprenditori che hanno investito sia al paese nel suo complesso.


Un tema molto importante dal nostro punto di vista è quello dell’efficienza energetica, che purtroppo oggi manca di una vera lobby in grado di difenderla, con effetti visibili anche nella timidezza della proposta di direttiva europea sull’efficienza.


La direttiva per come è concepita promuove l’efficienza energetica negli usi finali. Sappiamo inoltre che tutti gli obiettivi di promozione delle rinnovabili sono sempre pari ad una percentuale del consumo interno lordo di energia. Di conseguenza ciò traccia per i governi europei una doppia linea di intervento sulla politica energetica che può andare nella direzione di aumentare la produzione di fonti di energia rinnovabile e/o di ridurre i consumi.


In un paese come il nostro in cui alcuni segmenti produttivi sono terribilmente indietro in termini di intensità energetica o di politiche di efficienza (ad esempio l’edilizia, a cui si attribuisce circa il 45% del consumo interno lordo di energia primaria) deve essere fondamentale accelerare i processi di incentivazione, di semplificazione autorizzativa e di promozione con politiche specifiche. L’industria ha fatto molto negli ultimi anni poiché l’alto costo dell’energia ha spinto le imprese ad intervenire direttamente sui consumi. Questo processo non è avvenuto invece nel terziario e nell’edilizia privata. Purtroppo i recenti tagli e interventi sulla detrazione fiscale hanno rallentato e rallenteranno gli interventi di efficienza che avevano avuto un buon riscontro negli ultimi anni, soprattutto con la disciplina della detrazione del 55% in tre anni.


Merita poi un potenziamento il meccanismo dei titoli di efficienza energetica (TEE) che oggi è fermo per un deficit di intervento legislativo da parte del Parlamento. Due decreti legislativi, il 115/2008 e il 99/2009, hanno programmato un rafforzamento di quello schema, da attuare con decreti ministeriali, che però non è mai avvenuto. Anche il decreto Romani del 3 marzo 2011 ha definito questa strada come prioritaria, ma ancora non si vedono gli effetti. Un vero peccato visto che il meccanismo dei TEE è stato citato dalla Commissione Europea come un esempio da cui prendere spunto per politiche europee negli altri Stati membri. Il fatto che fallisca in Italia dovrebbe essere considerata un’occasione persa per mostrare una volta tanto che un meccanismo pensato e attuato in Italia possa essere l’esempio per tanti Stati.


Questo variegato quadro normativo, ambizioso e importante anche prima dei recenti eventi di Fukushima e poi del referendum sul nucleare, oggi richiede una rivisitazione a partire dalla proposta di Piano energetico nazionale. I recenti accadimenti senza dubbio determineranno un’accelerazione delle politiche di incentivazione e regolazione che stavolta è opportuno vengano condivise a tutti i livelli istituzionali e non più calate dall’alto. Il passato ci dice che quando questo avviene, poi intervengono degli elementi che rendono inefficaci le politiche medesime.

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