Le sabbie bituminose del Canada e l’oleodotto della discordia

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Le tar sand del Canada stanno diventando una risorsa fondamentale nello scenario energetico nord-americano. Cruciale è il controverso progetto dell'oleodotto che dovrebbe trasportare il greggio dalla regione dell’Alberta alle raffinerie del Golfo del Messico. Tutte le preoccupazioni sull’impatto ambientale del progetto.

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Le sabbie bituminose del Canada continuano a far discutere. Questa risorsa, inizialmente considerata marginale, si sta dimostrando sempre più centrale nel disegnare il futuro energetico degli Stati Uniti e del mondo.  Nel 2010, delle esportazioni di petrolio complessive del Canada 1,1 milioni di barili al giorno venivano dalle tar sand della regione dell’Alberta. Lo scorso anno la produzione complessiva di olio da sabbie del Canada è stata di 1,5 milioni di barili al giorno (2,8 milioni la produzione complessiva di petrolio) e, secondo le previsioni della Canadian Association of Petroleum Producers (CAPP), entro il 2025 arriverà a 3,5 milioni. Sempre secondo la CAPP, entro il 2020 il 14% dei consumi totali di petrolio del Nord America sarà coperto dalle sabbie bituminose (fact sheet sulle tar sand).


Un simile scenario è descritto dall’ultimo rapporto pubblicato dall’International Energy Agency sui mercati di petrolio e gas nel 2011 dove tuttavia si sottolinea che per raggiungere il proprio potenziale gli Stati Uniti dovranno fare significativi investimenti in nuove infrastrutture per il trasporto del greggio, senza le quali almeno un milione di barili al giorno potrebbe non arrivare negli Usa.


Il riferimento è in particolare al Keystone XL pipeline, l’oleodotto che dovrebbe trasportare il semilavorato derivante dalle sabbie, dal Canada fino al Golfo del Messico, consentendo di aumentare notevolmente i volumi di petrolio da sabbie bituminose in ingresso negli Usa. Il progetto, fortemente osteggiato dagli ambientalisti, è attualmente in attesa di approvazione da parte del governo degli Usa che, dopo avere pubblicato uno studio d’impatto ambientale del Dipartimento di Stato, ha appena chiuso il periodo a disposizione per i commenti della società civile e degli stakeholder.


Intanto il 15 giugno l’Energy and power subcommittee dell’House energy and commerce panel ha approvato un disegno di legge per accelerare una risoluzione sull’oleodotto e arrivare a un pronunciamento definitivo entro l’1 novembre. A dover prendere una decisione è il Dipartimento di Stato e il segretario Hillary Clinton è stato incaricato di valutare se l’oleodotto possa essere considerato un’opera di interesse nazionale. In ottobre la Clinton aveva detto che il dipartimento era “incline” ad approvare l’oleodotto, in modo da ridurre la dipendenza dal petrolio mediorientale. Da lei sembra oggi dipendere lo sviluppo del settore delle sabbie bituminose canadesi.


Il progetto, proposto dalla società TransCanada, prevede la costruzione di una tubatura lunga 2.673 km (di cui circa 2.200 su territorio americano). La condotta dovrebbe partire da Hardisty, nella regione dell’Alberta e scendere verso sud-est attraversando Montana, South Dakota, Nebraska, Kansas, Oklahoma, per arrivare sino alla costa del Texas. Il Keystone XL dovrebbe incorporare una preesistente porzione di oleodotto che al momento collega il Midwest degli Stati Uniti con il Canada, attraversando Nebraska e Kansas. L’opera consentirebbe di far viaggiare tra i due paesi 700.000 barili di greggio al giorno


All’interno del periodo aperto per le consultazioni, la società d’informazione e consulenza specializzata in energy research Ihs Cera, ha sottoposto al Comitato sull’energia e il commercio della Camera dei rappresentanti, un rapporto in cui enfatizza il ruolo delle sabbie bituminose nelle strategie energetiche nazionali e dipinge scenari preoccupanti nel caso in cui l’amministrazione dovesse rinunciare al progetto per la realizzazione dell’oleodotto. Il ragionamento proposto è il seguente: se la produzione canadese di greggio da sabbie dovesse raddoppiare, come indicato nelle previsioni della CAPP (la proiezione è che entro il 2020 la produzione di petrolio dalle sabbie dell’Alberta arriverà a coprire circa l’80% della produzione complessiva di petroio del Canada) non sarà più possibile assorbire l’intera quantità nel Midwest come avviene attualmente e sarà quindi necessario portare il petrolio nella zona del Golfo del Messico che è, di fatto, la raffineria più grande del mondo. Da qui la necessità dell’oleodotto.


Nel caso in cui questo non fosse realizzato, la capacità degli Usa di assorbire le entrate di petrolio dai vicini settentrionali sarebbe fortemente limitata e il Canada sarebbe costretto a rivolgersi ad altri mercati, come quelli asiatici. Il che, secondo gli autori del rapporto, rischierebbe di compromettere le buone relazioni commerciali tra le due nazioni. Un grosso rischio, considerando che nel 2010 gli Usa hanno importato dal Canada due milioni di barili di petrolio al giorno (il 22% del totale importato nel paese). Allo stesso tempo gli Stati Uniti dovrebbero prendere il proprio petrolio da altre zone meno affidabili e più lontane con conseguenti costi (ed emissioni) di trasporto. Inoltre, sostiene il rapporto ponendosi in opposizione con la valutazione di impatto ambientale del Dipartimento di Stato, non è detto che le mancate entrate dal Canada sarebbero sostituite da petrolio più leggero e quindi più pulito, dal momento che le raffinerie del Golfo sono state progettate per lavorare quel tipo di petrolio .


Il rapporto sottolinea inoltre che il Keystone XL faciliterebbe l’immissione sul mercato globale di grossi quantitativi di greggio che si tradurrebbero in una riduzione complessiva dei costi della benzina al consumatore. Infine la Ihs evidenzia che già più di 20.000 posti di lavoro americani dipendono dallo sviluppo del settore delle sabbie bituminose e che il progetto amplierebbe il settore generando nuovo lavoro.


Ed è proprio sul dilemma tra lavoro e impatto ambientale che dovrà giocarsi la decisione di Hilary Clinton. Che il mercato delle tar sand rischi di entrare in crisi senza la realizzazione di quest’opera da 7 miliardi di dollari, sembra un dato condiviso.  Ma è proprio questo l’auspicio degli ambientalisti che sostengono che l’oleodotto darebbe un impulso senza precedenti allo sviluppo di un’industria estremamente dannosa per l’ambiente: in un approccio well to wheel, che consideri tutto il ciclo dall’estrazione alla combustione, si stima che l’olio da sabbie arrivi a generare dal 10 al 45% di gas serra in più rispetto al petrolio convenzionale.


Friends of the earth sta conducendo una dura battaglia contro il Keystone XL sostenendo che le tar sand in ingresso negli Usa farebbero crescere le emissioni americane di circa 38 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari a 6 milioni e mezzo di auto in circolazione. Inoltre l’associazione sottolinea che il processo di lavorazione delle tar sand produce alti livelli di mercurio e che le comunità del Texas residenti intorno alle raffinerie soffrono già un forte inquinamento e non potrebbero affrontare un ulteriore peggioramento della qualità dell’aria. All’interno della sua battaglia, Friends of the Earth ha di recente intentato causa al Dipartimento di Stato per non aver reso pubblico lo scambio di informazioni tra Hillary Clinton e un lobbista legato alla TransCanada, precedentemente impiegato nel Dipartimento di stato.


E le preoccupazioni riguardo l’impatto ambientale non vengono solo dalle associazioni ambientaliste. Anche l’Environmental protection agency (Epa) ha espresso una lunga lista di perplessità, sottolineando che lo studio di impatto ambientale presentato dal Dipartimento di Stato è fortemente carente e impreciso. Tra i problemi evidenziati dall’agenzia figura la possibile contaminazione delle falde idriche nel caso di una fuoriuscita, eventualità da non escludere visto che nel tratto già esistente il Keystone ha registrato 11 perdite nel suo primo anno di vita. Altro problema è l ’aumento dell’inquinamento nell’area delle raffinerie del Golfo del Messico, che sarebbero portate ad aumentare la produzione per assorbire i nuovi approvvigionamenti.


Intanto la Transcanada, che ha già apportato 57 modifiche al progetto originario, si dice fiduciosa e pronta a partire in qualsiasi momento: “Non crediamo che ci sarà un mondo senza Keystone – ha detto il portavoce James Millar – non possiamo immaginare uno scenario in cui gli Stati Uniti diranno no ai lavori e alla sicurezza che derivano dal prendere energia da una nazione stabile come il Canada”.

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