Clima 2010, un anno terribile anche per i costi

Il 2010 è stato uno dei tre anni più caldi di sempre e il secondo in quanto a disastri naturali. Le due cose sono evidentemente legate. Se ne sono accorte le compagnie assicurative, preoccupate per l'aumentata frequenza dei fenomeni meteorologici estremi dovuta al global warming e per gli ingenti esborsi che ha causato.

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Le compagnie assicurative sono la lobby che per prima si è accorta della serietà della questione climatica e che da sempre fa pressioni affinché si riduca l’impatto del riscaldamento globale. Il motivo è semplice: con l’aumento della frequenza degli eventi metereologici estremi legato al global warming salgono i rimborsi dei danni che le compagnie devono liquidare. Gli assicuratori lo hanno notato da tempo e sono preoccupati perché, per come si sta scaldando il pianeta, tempeste, uragani, alluvioni e incendi saranno sempre più frequenti. Lo si capisce bene sfogliando ad esempio un report pubblicato di recente da Munich Re sui disastri naturali nel 2010 (allegato in basso).


Quello passato è stato un anno terribile in quanto a disastri naturali: il secondo per danni economici da quando le compagnie assicurative hanno iniziato a tenere il conto, nel 1980. Le catastrofi naturali nel 2010 sono state 960 e hanno causato perdite economiche per 150 miliardi di dollari mentre le compagnie assicurative hanno dovuto sborsare 37 miliardi (trovate elencate le 50 più grosse catastrofi del 2010 a pagina 54 del documento). Peggio era stato solo il 2005, l’anno dell’uragano Katrina, che da solo era costato 145 miliardi.


Certo i danni del 2010 non sono riconducibili in toto al cambiamento climatico, ma il global warming e gli eventi metereologici associati, riconosce il report, sono la causa principale di questo record. Se un ruolo importante lo hanno avuto i terremoti, responsabili di circa un terzo delle perdite, la maggior parte dei danni infatti li hanno causati gli eventi metereologici e gli incendi dovuti alla siccità. E la cosa più grave è che tutto ciò fa parte di una tendenza crescente. Come si vede dal grafico sotto, che visualizza i disastri naturali negli anni dividendoli per tipologia, negli ultimi 30 anni gli eventi correlabili al cambiamento climatico – uragani, ondate di calore, freddo o siccità, incendi boschivi, tempeste, alluvioni – stanno aumentando di rapidamente di frequenza.



“Catastrofi come le alluvioni in Pakistan o gli incendi boschivi in Russia sono eventi estremi nel contesto di tendenze regionali che sono con ogni probabilità attribuibili al cambiamento climatico“, chiarisce lo studio. Il 78% dei 600 miliardi che le compagnie assicurative hanno speso per disastri naturali dal 1980 a oggi è andato per pagare danni causati da eventi meteorologici. Chiaro, dunque, che nel rapporto Munich Re si parli approfonditamente degli impatti del global warming che si stanno manifestando, ricordando come il 2010 sia stato, a pari merito con il 2005 e il 1998, l’anno più caldo da quando l’Organizzazione meteorologica     mondiale raccoglie i dati.



Sfogliando lo studio si vedono così riassunte le principali manifestazioni del cambiamento climatico. Prima di tutto le anomali nelle temperature (si veda il grafico sopra): in Groenlandia e in Canada orientale si sono registrati 3 °C in più rispetto alla media. La superficie artica coperta di ghiacci questo settembre era un terzo in meno rispetto alla fine degli anni ’70. C’è poi l’alterazione del pattern delle precipitazioni: in alcuni luoghi sta piovendo molto di più della media, in altri invece meno (vedi grafico sotto). Il monsone che ha messo in ginocchio il Pakistan (aggravato anche dalla configurazione meteo, detta la Niña) ad esempio è stato il quarto di sempre in quanto a precipitazioni e in tutta l’Asia si stanno registrando piogge sempre più intense. Alluvioni ci sono state in India e nella Cina sud orientale, mentre, come sappiamo, anche in Europa piogge inusuali hanno procurato danni ingenti.



I motivi per fare preoccupare gli assicuratori ci sono, tanto che Munich Re dalle pagine del report incita la politica ad agire. A Cancun, si spiega, si è raggiunto “un risultato positivo ma minimo”, che lascia la porta aperta per un accordo per il post-Kyoto. “Ora bisogna compiere ogni sforzo per includere Cina e Stati Uniti nel trattato che seguirà quello di Kyoto.” Ma soprattutto: ” Servono impegni della riduzione della CO2 più decisi rispetto a quelli proposti volontariamente a Copenhagen, altrimenti l’obiettivo di restare entro i 2°C non potrà essere raggiunto”.


A questo link il report (pdf)

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