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L’elevato costo dell’elettricità nucleare per l’Italia

Molti studi concordano che l’elettricità da nucleare non è economica, mentre in Italia c’è una diffusa convinzione che costi tanto perché non abbiamo più centrali nucleari. I costi dell'atomo e gli scenari energetici per il nostro paese? Un articolo di Edo Ronchi pubblicato sulla rivista QualEnergia.

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La ragione principale richiamata dal Governo per motivare l’intenzione di avviare la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia è stata la seguente: «la costruzione delle nuove centrali elettronucleari consentirà di fornire elettricità a prezzi più convenienti, a tutto vantaggio delle famiglie e del sistema produttivo» (dal “Nuovo programma nucleare italiano”, bozza MSE, giugno 2010).


Il programma nucleare proposto dal Governo italiano prevede la costruzione, entro il 2030, di centrali per una potenza complessiva di 13.000 MWe in grado di coprire, entro quella data, il 25% del consumo nazionale di elettricità, facendo scendere la quota di elettricità prodotta con combustibili fossili dall’attuale 80% al 50% (e facendo crescere poco le rinnovabili, dal 20% al 25% nel 2030). Quindi affinché il nucleare italiano possa consentire «di fornire elettricità a prezzi più convenienti» dovrebbe costare meno dell’elettricità che il piano del Governo prevede che sarà sostituita con il nucleare: quella prodotta con centrali a gas o a carbone.


La Fondazione per lo sviluppo sostenibile ha realizzato una ricerca comparativa, pubblicata su Gazzetta Ambiente n. 5/2010, analizzando sette studi, realizzati dopo il 2008 in Europa e negli USA, sui costi dell’elettricità prodotta con nuove centrali nucleari, con nuove centrali a gas e a carbone. Si tratta di studi realizzati da Istituzioni pubbliche o da enti terzi, non direttamente interessati a costruire centrali elettriche, più precisamente: dall’Ufficio del Budget del Congresso degli USA, dalla Commissione europea, dalla Camera dei Lord, dal DOE dell’Amministrazione USA, dall’EPRI di Palo Alto, dal MIT e da Moody’s.


Il costo medio attualizzato dell’energia elettrica prodotta dalle nuove centrali nucleari nei sette studi citati risulta pari a 72,8 Euro/MWh, simile al valore del range della NEA (agenzia per l’energia nucleare) dell’OCSE, calcolato con un costo del capitale pari al 10% (il minimo per investimenti rischiosi come questi, con rientri differiti di molti anni). Questa comparazione porta a una prima conclusione: gli studi internazionali citati indicano, mediamente, un costo dell’elettricità, prodotta dalle nuove centrali nucleari, del 20% più alto di quello stimato dal Governo italiano (60 Euro/MWh).


Come mai? Su un tema così importante occorre trasparenza. È possibile che si sbaglino tutti gli altri? Sempre dalla medesima analisi comparata dei citati studi risulta che il costo medio di produzione dell’elettricità delle nuove centrali a gas è di 61 Euro/MWh, il 16% in meno di quello delle nuove centrali nucleari, mentre il costo medio di produzione dell’elettricità delle nuove centrali a carbone è di 57,5 Euro/MWh, il 21% in meno di quello delle nuove centrali nucleari.


Sui singoli valori e sui metodi di calcolo si può discutere, ma un dato è certo: tutti questi studi, a differenza del Governo italiano, valutano l’elettricità prodotta con nuove centrali nucleari come più costosa di quella prodotta con nuove centrali a gas o a carbone. Ma attenzione: quegli studi valutano il costo dell’elettricità prodotta da nuove centrali nucleari in Paesi dove queste centrali già esistono. Il costo delle nuove centrali nucleari in Italia sarebbe più alto del valore sin qui considerato per Paesi dove il nucleare è già sviluppato.


Il nucleare italiano, anche non tenendo conto delle forti opposizioni locali, avrebbe costi aggiuntivi di riavvio di una filiera ormai dismessa, di una tecnologia interamente importata, di una prevedibile, e verificata per iniziative industriali meno rischiose e meno controverse, maggiore durata dei processi autorizzativi anche per i ritardi e le inefficienze della Pubblica amministrazione. C’è, inoltre, un fattore, ignorato dai fautori del nuovo programma nucleare italiano, che ha implicazioni rilevanti per gli investimenti richiesti: il nuovo scenario della domanda e dell’offerta di energia elettrica in Italia.


Nel 2008 con una potenza di centrali termoelettriche tradizionali pari a 76.000 MW sono stati prodotti 255 TWh, 58 TWh sono stati prodotti con fonti rinnovabili e 40 TWh sono venuti dal saldo delle importazioni, per un consumo totale di 353 TWh. È poi intervenuta la recessione i cui effetti di taglio della domanda di energia elettrica si sommano a quelli, virtuosi, prodotti dallo sviluppo di politiche e misure di efficienza e di risparmio di elettricità. Per il combinato disposto della crisi e delle misure di risparmio elettrico, taluni prevedono (fra questi la Fondazione per lo sviluppo sostenibile) che solo nel 2020 si tornerà ai consumi di elettricità del 2008. Altri fanno previsioni di consumi un po’ più elevati, ma tutti sanno che l’orizzonte ormai non è più quello del passato, di una crescita costante e consistente dei consumi di elettricità. Occorre, inoltre, tener conto della crescita – ormai in atto e resa obbligatoria da una precisa direttiva europea – dell’elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili: al 2020, anche secondo il PAN presentato a Bruxelles dal Governo italiano, si dovrebbero produrre circa 100 TWh con fonti rinnovabili.


Dato l’aumento delle rinnovabili, anche supponendo di dimezzare le importazioni, a 20 TWh, nel 2020 si arriverebbe a produrre con le centrali termoelettriche più o meno la stessa elettricità del 2008. Ma la potenza installata di queste centrali, programmate prima della crisi del 2008-2009, prima della crescita delle rinnovabili e quando non era previsto alcun programma nucleare, continua a crescere: abbiamo, infatti, 5.232 MW di nuove centrali termoelettriche in costruzione, altri 1.198 MW già autorizzati, ulteriori 4.750 MW in fase finale di autorizzazione e altri 10.428 MW in fase iniziale di autorizzazione (Fonte: MSE, 2009).


Anche tenendo conto di un po’ di dismissioni, non serve essere grandi esperti per capire che, anche senza nuove centrali nucleari, occorrerà rinunciare alla costruzione di alcune delle nuove centrali termoelettriche già progettate e in fase di autorizzazione e mettere in conto che una parte dei nuovi impianti è destinato a funzionare con un numero di ore non ottimale. In presenza di una prospettiva di crescita moderata dell’elettricità richiesta in rete e di un eccesso di capacità produttiva delle centrali convenzionali, in Italia pare particolarmente arduo trovare uno spazio economicamente sensato per aggiungere un costosissimo programma di avvio di nuove grandi centrali nucleari.


Sempre in relazione ai costi, taluni obiettano che si deve tener conto di altri due fattori: la possibile crescita dei prezzi del gas e del carbone (quelli del petrolio direttamente incidono poco sull’elettricità poiché anche in Italia l’uso del petrolio nelle centrali termoelettriche è ormai marginale); i costi delle emissioni di CO2 e della loro riduzione. Ovviamente gli studi considerati valutano tutti e due questi fattori. La valutazione largamente prevalente negli studi citati è che il prezzo del carbone non è destinato a subire rialzi anomali e duraturi: la disponibilità di carbone è abbondante e distribuita in varie Regioni, la limitazione del suo impiego è motivata da ragioni ambientali, non certo economiche.


Il mercato del gas è coinvolto in un grande cambiamento prodotto dal recente sviluppo di tecnologie che hanno consentito l’utilizzo, negli Stati Uniti, ma non solo, di grandi quantità di gas non convenzionale, disponibile in quantità almeno pari a quello considerato convenzionale e che prospetta un contesto di disponibilità ampia, al punto che anche per il gas, negli studi citati, sono previsti prezzi moderati, tendenzialmente sganciati da quelli del petrolio.


Per le emissioni di CO2 dobbiamo distinguere due periodi: fino al 2020 e dopo il 2020. Per il 2020 l’Italia ha obiettivi e impegni internazionali (Kyoto) ed europei (pacchetto 20-20-20) definiti. Per questa data e questi impegni il nucleare non può fornire in Italia alcun contributo alla riduzione delle emissioni di CO2. Anche se nel 2012 si avviassero i cantieri e se entrassero in esercizio un paio di centrali nucleari entro il 2018 (ipotesi poco realistica), sarebbero necessari più di un paio d’anni di funzionamento per compensare la grande quantità di energia di origine fossile impiegata per costruirle: le centrali nucleari non potrebbero quindi contribuire a ridurre le emissioni di CO2 almeno fino al 2020. Una comparazione dei costi della riduzione delle emissioni di CO2 che includa anche il nucleare, in Italia va fatta a decorrere, almeno, da dopo il 2020. In alcuni degli studi citati il costo delle emissioni di CO2 è valutato 10,54 $/MWh per le nuove centrali a gas e 23,96 $/MWh per quelle a carbone, per esempio in quello della NEA-OCSE del 2010.


Vale la pena di notare che, nell’ipotesi di costo del capitale al 10%, anche includendo i costi della CO2, nello steso studio della NEA, il nucleare resta più caro (98,75 $/MWh) sia del gas (92,11 $/MWh) sia del carbone (80,06 $/MWh). Sarebbe, comunque, più corretto fare questo confronto anche con altre possibilità, diverse dal nucleare, per ridurre le emissioni di CO2.


Le prime misure da prendere in considerazione, in questa comparazione dei costi per la riduzione delle emissioni di gas serra, sono quelle relative al risparmio e all’efficienza energetica, sia per i consumi di elettricità, sia per quelli di calore e di raffrescamento, sia per quelli dei carburanti nei trasporti. Per sviluppare stime e comparazioni fondate, occorrerebbe sapere di quale obiettivo di riduzione di emissioni di gas serra parliamo entro il 2030. Solo con un obiettivo definito è possibile, infatti, stimare quanto può venire per raggiungerlo dal risparmio e dall’efficienza energetica, e a quali costi, e quanto da altre misure, e a quali costi.


Oggi, in assenza di quell’obiettivo, possiamo dire comunque che le stime dei potenziali tecnici di risparmio e di efficienza energetica indicano valori molto elevati e che, in genere, una buona parte di questi potenziali può essere sfruttata con ritorni economici e costi contenuti. Sui costi di produzione dell’elettricità da fonti rinnovabili, dopo il 2020, il quadro è molto articolato e, per talune fonti, più incerto. Per esempio la fonte idroelettrica è già meno cara del nucleare, ma la dinamica del mini e piccolo idro è più incerta. L’utilizzo della biomassa è, in genere, vantaggioso se si recupera anche il calore, oltre a produrre elettricità. Diverse previsioni (come quella del DOE dell’Amministrazione USA) stimano l’eolico al 2020 più economico del nucleare, mentre per il solare fotovoltaico, i cui  costi sono in forte calo, le previsioni al 2020 sono più incerte e meno univoche.


Dovendo ragionare su una prospettiva post 2020, occorre, in ogni caso, tenere presenti due fatti essenziali: tutti i Paesi avanzati stanno decisamente puntando, e investendo, per lo sviluppo delle fonti rinnovabili che, per tassi di sviluppo in corso e attesi, sono in fortissima crescita; le rinnovabili fanno registrare una curva di apprendimento positiva (più il tempo passa, più abbattono i costi), mentre il nucleare ha una curva di apprendimento negativa: le previsioni dei costi dell’elettricità che sarà prodotta dalle nuove centrali nucleari indicano, infatti, valori più elevati di quelli dei costi di quella prodotta con quelle esistenti. Né andrebbe dimenticata, in questa comparazione dei costi, la cattura e il sequestro della CO2: una tecnologia che, dopo il 2020, secondo una preciso programma regolato da una specifica Direttiva europea, dovrebbe entrare in una fase di consistente utilizzo che potrebbe renderne i costi vantaggiosi.


In conclusione: «pochi ancora oggi credono che il nucleare produrrà energia così economica da non potersi neppure misurare, ma la percezione che sia una fonte conveniente è ancora ampiamente diffusa, nonostante tutte le prove contrarie emerse nel Regno Unito negli ultimi 20 anni», scrive Steve Thomas, professore di politiche energetiche dell’Università di Greenwich. In Italia è pure peggio: c’è una diffusa, benché non provata, convinzione che l’elettricità costi tanto perché non abbiamo centrali nucleari. Con due conseguenze: è più difficile discutere razionalmente dei costi reali del nucleare; si è trovato un alibi comodo per evitare di indagare sulle reali cause del costo elevato dell’elettricità in Italia e, magari, cercare realmente di rimuoverle.


Edo Ronchi, Presidente Fondazione Sviluppo Sostenibile


articolo pubblicato sulla rivista bimestrale QualEnergia – Anno IX (n.1, febbraio-marzo 2011) con il titolo “Prezzi atomici

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