Wikileaks, gonfiate le riserve di petrolio saudite

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L'Arabia Saudita mente sulle sue riserve petrolifere, gonfiandole del 40%. Questo emerge da documenti riservati pubblicati da Wikileaks. Una notizia molto preoccupante per un mondo ancora petrolio-dipendente, ma che per molti osservatori non è poi così inattesa.

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L’Arabia Saudita mente sulle sue riserve petrolifere, gonfiandole del 40%. In realtà il paese, che custodisce circa un quinto del petrolio estraibile al mondo, non riuscirebbe a pompare abbastanza greggio da evitare un’impennata dei prezzi del barile. La rivelazione di questi giorni arriva da uno dei documenti riservati dell’amministrazione Usa pubblicati da Wikileaks, portato all’attenzione del pubblico dal Guardian. Una notizia che potrebbe essere una bomba capace di scatenare il panico economico, dato il ruolo fondamentale delle riserve saudite per la disponibilità globale di petrolio. Ma in fondo, come spesso è accaduto con le pubblicazioni di Wikileaks, si tratta solo della conferma ufficiale e pubblica di quel che molti già sapevano o sospettavano da tempo.


Nei dispacci pubblicati, risalenti al periodo 2007-2009, il console generale americano a Rihad riferisce a Washington le notizie preoccupanti ottenute da Sadad al-Husseini, geologo ed ex-direttore delle operazioni di esplorazione per Aramco, la società statale del petrolio saudita. Ne esce la rivelazione che le riserve del paese potrebbero essere state gonfiate di oltre 300 miliardi di barili, ossia di circa il 40% del totale. Le stime ufficiali di Aramco parlano infatti di riserve potenziali per 716 miliardi di barili dei quali il 51% estraibile nei prossimi 20 anni. Ma l’ex dirigente, sentito dal console, descrive una realtà diversa: una volta raggiunta la metà delle riserve provate si andrà incontro ad un plateau di 15 anni, poi a un declino inevitabile.


Il regno arabo – spiega al-Husseini al console Usa – non riuscirà mai a raggiungere la capacità di 12,5 milioni di barili al giorno necessaria, stando alle previsioni sulla domanda mondiale, ad evitare un impennata dei prezzi. Il governo saudita ha sottostimato il tempo necessario per rendere recuperabili le riserve; al massimo potrà arrivare a 12 milioni di barili al giorno in 10 anni, ma sarà tardi, visto che il picco del petrolio, ossia il punto in cui la produzione mondiale inizierà a diminuire, secondo il geologo saudita sarà raggiunto nel 2012. In poche parole: l’Arabia Saudita non ha la capacità di controllare una probabile impennata dei prezzi che potrebbe mettere in ginocchio l’economia mondiale.


Insomma, da Wikileaks arrivano notizie che dovrebbero far tremare le gambe agli economisti. Come abbiamo più volte spiegato su queste pagine (Qualenergia.it, Picco del petrolio convenzionale. Dipende dall’Arabia Saudita), se il mondo avrà o meno abbastanza petrolio nei prossimi decenni è legato essenzialmente alla produzione nei paesi Opec e specialmente nell’Arabia Saudita visto che la produzione dei paesi non-Opec resterà ferma o tenderà a declinare. C’è un solo motivo se alle rivelazioni del sito di Assange non sono seguiti panico e un aumento dei prezzi: che le riserve dei paesi Opec fossero gonfiate gli esperti lo sospettavano o lo sapevano già da molto tempo (si veda questo approfondimento su The Oil Drum).


Il come è il perché lo chiarisce in maniera semplice questa analisi di Dave Cohen: guardando ai dati storici sulle riserve dichiarate ci si accorge che le risorse provate saudite da anni e anni restano invariate. A rimpiazzare il greggio estratto, infatti, “miracolosamente” viene aggiunta ogni anno la stessa quantità scoperta o divenuta tecnicamente estraibile. I motivi per gonfiare le riserve ovviamente sono politici ed economici: le quote di produzione dei membri Opec sono proporzionate alle riserve di ciascun paese. Insomma la rivelazione di Wikileaks confermerebbe solo quanto nei mercati già si sapeva, come fa notare l’Economist: le notizie sulle stime gonfiate saudite risalgono al 2007 e proprio da allora i prezzi del greggio avevano iniziato a galoppare.


Che ci siano problemi di riserve mondiali d’altra parte lo si vede dall’andamento di produzione e domanda degli ultimi anni, spiega la testata economica. Dal 2004, pur avendo i prezzi preso il volo, la produzione non è cresciuta quanto ci si sarebbe aspettato. In parte questo si spiega coi pochi investimenti in estrazione ed esplorazione fatti negli anni ’90, con il petrolio a prezzi stracciati. Ma, si ipotizza, anche il fatto che i paesi Opec sapessero che le riserve fossero sovrastimate potrebbe averli fatti desistere dal vendere più petrolio. Come sappiamo, infatti, i paesi Opec, che si accordano per limitare l’offerta e tenere alto il prezzo, singolarmente hanno anche sempre infranto questo patto vendendo più greggio rispetto a quanto stabilito con l’accordo nei momenti con prezzi elevati del greggio. Dal 2004 però questo non sta più accadendo, spiega l’Economist, e ciò vuol dire una sola cosa: i paesi petroliferi stanno scommettendo sulla limitatezza delle riserve e dunque su un futuro aumento dei prezzi.


Una lettura confermata anche dall’appello di pochi giorni fa del direttore dell’International Energy Agency, Nobuo Tanaka, che ha dichiarato (a Reuter) che l’Opec “deve mostrare più flessibilità nell’aumentare la produzione di petrolio”. Il rischio è che il barile dopo aver raggiunto il record di 147 dollari nel 2008, possa ora ritornare ampiamente sopra i 100 se l’offerta non dovesse aumentare.

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