Più costosa la lotta al clima che cambia

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I costi per combattere il global warming vanno rivisti verso l'alto. Parola di Nicholas Stern, l'autore del famoso rapporto. La motivazione è che gli effetti del riscaldamento globale sono già in atto o stanno procedendo più rapidamente di quanto si poteva pensare solo 4 o 5 anni fa.

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L’economista britannico Nicholas Stern ha recentemente dichiarato che il costo per combattere i cambiamenti climatici è cresciuto rispetto a quanto aveva potuto stimare nel suo ben conosciuto rapporto del 2006, Stern Review.

Per Stern, infatti, i costi necessari alla riduzione delle emissioni sono maggiori, soprattutto perché le conseguenze dei cambiamenti climatici sono già in essere, come ad esempio le alluvioni nel Queensland, in Australia (vedi foto in alto). Inoltre, le emissioni stano crescendo rapidamente e la capacità degli oceani di assorbirle è minore di quanto pensavamo.

Anche lo scioglimento dei ghiacci polari sembra più rapido delle attese rispetto a qualche anno fa. Questo è il motivo per cui vanno prese misure più drastiche ed è per questo che i costi saranno inevitabilmente più elevati. Presto l’economista fornirà una corretta quantificazione di quanto afferma.

Stern, che ha ricevuto lo scorso venerdì il premio BBVA Foundation per la misurazione dei costi del cambiamento climatico, spiegò solo 4 anni or sono che investire per ridurre le emissioni di gas serra è più conveniente a livello economico che non fare nulla.

La sua avanzata analisi economica ha fornito solide basi teoriche per le decisioni degli Stati e cambiato l’approccio della comunità mondiale nei confronti della lotta al global warming; questa in sintesi è stata anche la motivazione della giuria che gli ha assegnato il riconoscimento.

Secondo il “Rapporto Stern” del 2006, l’attuale tendenza della crescita delle emissioni di CO2 e di altri gas a effetto serra potrebbe alterare il clima tanto da portare in alcuni decenni a una diminuzione del 10 o 20% del prodotto economico mondiale. La soluzione per Stern era di investire annualmente l’1 o 2% del Pil mondiale in tecnologie e strategie per la “decarbonizzazione” dell’economia. Fondamentale è la graduale, ma rapida, fuoriuscita dal carbone e dal petrolio e poi dal gas.

Più recentemente (febbraio del 2009) nel documento “An outline of the case for a ‘green stimulus” Nicholas Stern raccomandava, insieme ad altri economisti esperti del settore, che almeno il 20% dei nuovi investimenti che i governi di tutto il mondo avrebbero dovuto spendere nel successivo anno e mezzo per uscire dalla crisi sarebbe dovuto andare in investimenti verdi (Qualenergia.it, Stern e i piani anti-crisi mondiali).

Per rilanciare l’economia, ponendo le basi per uno sviluppo low-carbon, per l’efficienza energetica, le rinnovabili e la mobilità sostenibile – chiariva il documento – almeno 400 miliardi di dollari sui circa 2.000 investiti (quasi il 4% del Pil mondiale) andavano spesi nella soluzione del riscaldamento globale. Purtroppo nella maggior parti dei casi (l’Italia ne è un esempio) le cose non sono andate affatto così.

“L’economia dei cambiamenti climatici è la prossima rivoluzione industriale – ha detto in questi giorni Nicholas Stern – e i paesi che investono ora nelle nuove tecnologie a basso contenuto di carbonio avranno il vantaggio di chi si è mosso per primo, mentre coloro che non lo faranno rischiano di essere lasciati indietro”.

Tuttavia, ha concluso l’economista britannico, molto paesi ricchi non stanno andando abbastanza velocemente verso questa direzione e tra questi ci sono sicuramente gli Usa.

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