La green economy e la carenza dei metalli rari

La crescita dell'economia verde potrebbe essere messa a rischio dalla carenza di alcuni metalli, avverte l'UNEP.  Per evitare che la scarsità freni alcune industrie, ma anche per ridurre l'impronta energetica, è essenziale dare una forte spinta al riciclo, al momento assolutamente marginale.

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La crescita dell’economia verde potrebbe essere messa a rischio dalla carenza di alcune materie prima e in particolare di alcuni metalli. Allora diventa essenziale dare una forte spinta al riciclo, pena carenze nell’approvvigionamento che già nel prossimo ventennio potrebbero penalizzare o addirittura arrestare la crescita di settori cruciali per l’economia low-carbon. L’avvertimento arriva da due report del gruppo di lavoro sulle risorse di Unep, presentati venerdì (“Metals stocks in society” e anticipazioni da Metal recycling rates”, la cui versione completa è attesa per l’autunno, vedi allegati).

A dover far rizzare le orecchie innanzitutto è la scarsità di alcuni metalli rari essenziali per molte industrie hi-tech e della green economy: ad esempio litio, neodimio e gallio. Elementi che entrano in gioco in molti processi attorno a cui ruota l’economia “verde”: la costruzione di moduli fotovoltaici, di componenti per le turbine eoliche, di batterie per le auto elettriche, di lampade ad alta efficienza.

L’80% del totale di questi elementi in circolazione è stato estratto negli ultimi 30 anni e spesso le risorse disponibili sono concentrate in zone circoscritte. Nel caso del litio metà delle cui riserve mondiali è concentrata in Bolivia (Qualenergia.it, Auto elettriche, c’è abbastanza litio?). “Bisogna agire urgentemente per gestire in maniera sostenibile l’approvvigionamento e il flusso di questi metalli che hanno un ruolo cruciale per la salute, la crescita e la competitività di un moderna ed efficiente green-economy”, ha avvertito il direttore dell’UNEP, Achim Steiner.

Indispensabile, ad esempio, potenziare il riciclo che purtroppo non si sta facendo: in media solo l’1% di questi materiali al momento viene recuperato, il restante 99% va perso. Il fabbisogno di indio, usato per la realizzazione di semiconduttori e lampade Led, ad esempio, è previsto in raddoppio entro i prossimi 10 anni, ma attualmente se ne ricicla meno dell’1%. Un altro esempio è quanto accade per il palladio: si potrebbe riciclare tra il 50 e il 90% del totale in circolazione, ma attualmente si riesce a recuperarne solo il 5-10%, questo anche perché nel mondo solo il 10% dei cellulari gettati viene smaltito in maniera corretta.

Ma grandi benefici per il clima potrebbero venire dal recupero di metalli di uso più comune come acciaio, alluminio, latta e rame. Un metallo riciclato ha infatti un’impronta in termini di energia consumata nel processo produttivo da 2 a 10 volte inferiore rispetto ad uno estratto (nel caso dell’alluminio addirittura 12). Attualmente nel mondo per produrre 1,3 miliardi di tonnellate di acciaio all’anno si generano emissioni per 2,2 miliardi di tonnellate di CO2: una quantità che si potrebbe ridurre di molto dato che lo stesso metallo se riclato comporta un quarto delle emissioni rispetto a quello prodotto convenzionalmente.

Ai gas serra evitati si aggiungano poi gli altri, niente affatto trascurabili, impatti ambientali dell’attività mineraria evitati e la creazione di posti di lavoro nella filiera del recupero: è chiaro dunque che la via da percorrere sia quella del riciclo. Anche perché – come si scopre sfogliando il report Metal Stocks in Society – le riserve di metallo sono sempre di più “al di sopra del suolo”, cioè non nelle miniere bensì nelle quantità che si possono ottenere appunto con il riciclo: ad esempio se nel 1932 per ogni americano c’erano 73 chilogrammi da recuperare ora ve ne sono 240, una quantità destinata ad aumentare sempre più rapidamente dato che usato in prodotti come Pc e telefonini il rame viene “buttato” in media ogni 5 anni.

 

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