La tesi è netta: qualche anno fa utilizzare gli Ogm alimentari era necessario e giustificabile per combattere la fame e la penuria dei terreni necessari alla produzione alimentare e oggi, con una bella capriola dialettica, gli stessi scarsi terreni dovrebbero essere destinati alla produzione energetica.
Sotto la pressione del Protocollo di Kyoto e dei rincari del petrolio, si assiste all’entrata in campo di aziende biotech in quello che da molti viene definito l’eco-business del momento. Il problema – afferma Capogna – è che gli Ogm possono riprodursi e diffondersi su tutta la filiera, tanto che “le stesse aziende biotech, non a caso, cercano di tutelarsi dall’inevitabile commistione chiedendo alle autorità, oltre all’autorizzazione per l’uso energetico, anche quella meno scontata per l’uso alimentare”. Secondo l’autrice queste autorizzazioni servono per tutelarsi da cause di risarcimento allorché gli Ogm finissero (inavvertitamente) sul tavolo dei consumatori. Intanto le aziende biotech intrecciano strette alleanze con gruppi petroliferi e automobilistici, quest’ultime convinte che con uno sviluppo di massa dei biocombustibili si possa “mantenere lo stato attuale dei privilegi aziendali e dei profitti, evitando richieste di incremento dell’efficienza energetica”.
A questo proposito viene citato nell’articolo un gruppo consultivo, il Biofrac (Biofuels Research Advisory Council) costituito da aziende automobilistiche (Volvo, Peugeot, Citroen, ecc.), petrolifere (Shell, Total) e agrochimiche-biotecnologiche (Monsanto, Syngenta, Bayer) che addirittura indica l’agenda della ricerca sui biocombustibili ai decision makers europei e nazionali. La Biofrac, inoltre, non è orientata tanto alla sostituzione progressiva del petrolio (cosa improbabile con i biocombustibili), ma nella crescita dei consumi energetici dei prossimi 20 anni. Dopo il controllo dell’industria dell’oro nero, le grandi multinazionali puntano decisamente al controllo dell’oro verde.
Ogm e nuove lobby dei biocombustibili (o agrocombustibili, come preferiamo chiamarli) nell’articolo de Il Manifesto sono lucidamente inserite anche nelle tematiche, più volte affrontate, della discutibile sostenibilità della filiera: un bilancio energetico mediocre (il World Resource Institute calcola che il bioetanolo da cereali emette dalla semina alla marmitta 85,3 grammi di CO2 con i 94 della normale benzina), la questione del disboscamento delle foreste tropicali convertite in colture energetiche (ad esempio, con olio di palma), la crescita dei prezzi dei prodotti alimentari e delle proprietà fondiarie.
Sembrano – dice Capogna – tutte questioni irrilevanti per il Commissario UE al Commercio, Mandelson, che ha proposto l’importazione di materia prima a basso costo per raggiungere gli obiettivi europei del 5,75% di biocombustibili entro il 2010.
LB
25 luglio 2007